La mia introduzione ad un libro sul marketing politico di Stefano Colarieti e Paolo Guarino, cari collaboratori e amici.
Il primo power point immaginato e scritto sul marketing politico, da quando questo è uno dei miei mestieri, era un inno all’epica del western all’italiana. Argute storie minime capaci di ricostruire scenari sociali, in cui non si lotta solo per qualche dollaro in più;
vicende umane in cui anche i brutti e gli sporchi hanno il loro posto; emozioni costruite con la fredda razionalità di un (presunto) cattivo, che prevedono vittorie, non sempre dei belli, e sconfitte, non sempre dei belli.
Il western come italica – americanofila – metafora della vita, che il cinema, come la politica, rappresenta e propone. Cercando nuove forme adatte ai nuovi contenuti sociali e di immaginario. Senza la saccenza e l’autoreferenzialità tipiche di troppi nostri politici – e di qualche nostro regista.
Ecco perché, nella più recente delle mie vite, ho scelto di occuparmi, tra le altre cose, di marketing e comunicazione. Ed ecco perché spendo qualche minuto e qualche parola per affermare che il marketing e la comunicazione politica non sono maquillage da usare con cautela e vergogna per nascondere le nefandezze della politica (ormai per troppi cattiva parola), ma sono utili (indispensabili?) strumenti di relazione e interazione.
Cassetta degli attrezzi (mezzi) e, prima, istruzioni per l’uso (cultura) per fare meglio la politica: questo l’oggetto delle pagine che seguono, di cui non anticipo altro, lasciando spazio libero di interpretazione e riflessione alla lettura di chi si lascia incuriosire da un (non) manuale.
Perché questo libro, lo pensa anche chi l’ha scritto, non è un manuale. Era troppo presto e troppo tardi, era troppo ambizioso e troppo banale pensare e scrivere un manuale. E allora, non per finto e modesto understatement, s’è scelto di chiamarlo “introduzione”. Poi ognuno dovrà (se saprà) fare da solo.
Siamo quindi, io che scrivo e voi che leggete, nella prefazione di un’introduzione. Sintesi della precarietà culturale – confermata dall’irrefrenabile attrazione verso le prefazioni che coglie intellettuali e masse odierne – che condiziona ogni nostro fare, dettando, in tal modo, limiti e confini anche della politica. E rendendo virtuoso e attraente parlare (e studiare e scrivere) di comunicazione politica.
Così, ad ogni elezione, da ormai dieci anni, si promette, da parte di presunti esperti e media, una ripetuta esplosione del marketing politico (nel bene e nel male). Ma ancora non è così. C’è una progressiva, lenta e probabilmente inarrestabile inclinazione che smuove, determina slanci, supera i freni che la cultura politica italiana continua a porre, in un estremo atto di autodifesa che rischia di diventare autoaffondamento. Ma sempre considerando il marketing politico come la bacchetta magica che risolve i timori pre-elettorali, cui rivolgersi senza convinzione, senza delega, senza conoscenza. Poi arrivano i risultati. Ad attesa, fiducia e minaccia – fondamentali motori della costruzione di relazioni e, quindi, del marketing elettorale – si sostituiscono gioia, delusione, soddisfazione, rabbia. E addio comunicazione, addio cittadini (non più elettori), addio, spesso, politica.
È la profezia che si autoavvera e si autodistrugge della campagna elettorale: tanto a lungo attesa quanto velocemente dimenticata.
E allora? Campagna permanente, dicono alcuni. Mai più campagna elettorale, abbiamo detto noi, provocatoriamente, qualche anno fa. Per affermare un concetto facile facile (sembra a noi che ce ne occupiamo): quello della comunicazione politica permanente. Una provocazione ancora attuale. Mossa, come è ovvio, da interessi commerciali, ma anche da una sconsiderata ambizione (parolona) culturale.
Paolo Guarino e Stefano Colarieti lavorano come consulenti politici (talvolta nella veste elettorale) ed hanno l’obiettivo di fare mercato. Hanno creato con me la prima società italiana di marketing politico, che dal 2001 cresce in fatturato, risorse coinvolte e attività. E oggi la guidano verso traguardi più importanti. Ma non è questo il punto. Loro, come me, sono rosi da un tarlo. Gli preme, ci preme soprattutto affermare il principio dell’utilità della politica, ridare dignità e nuova cittadinanza alla politica come mission, costruire con forme e tecniche adeguate una moderna efficacia della politica.
Giusto perché veniamo dall’epoca della politica che era tutto e giusto perché quella politica non la conosciamo più, cresciuti tra televisione e frammenti sociali.
Giusto perché la (comunicazione) politica è stata il nostro passato e giusto perché la comunicazione (politica) sarà il nostro futuro.
Giusto perché ci piacciono i politici, di qualsiasi colore, e giusto perché non ci piacciono i politicanti, di qualsiasi colore.
Giusto perché siamo affezionati ai partiti e giusto perché siamo incuriositi dalle persone.
Giusto perché crediamo che la politica possa divertire chi la fa e giusto perché pensiamo che la politica possa essere divertente per tutti.
Insomma chi si occupa o vuole occuparsi di comunicazione politica sa o immagina di non annoiarsi. E sa o immagina che lavorerà in un campo quanto mai innovatore e innovativo. Costruirà, trasformerà, gestirà relazioni. Questo è il mondo di oggi, quello delle reti. Un mondo alla ricerca continua di appigli, relazioni, contatti, business, condivisioni. Un mondo di comunicazione. E di politica.
Magari con note di Morricone in sottofondo.