Un mio articolo per Panorama
Sia benedetto Fausto Bertinotti, che, in concorso con Prodi, gli ha scippato la Presidenza della Camera. E siano benedetti Rutelli, Berlusconi, Fini e molti altri che gli hanno impedito lo scorso maggio l’ascesa al Quirinale. È grazie a tutti loro che Massimo D’Alema è il ministro più popolare del più impopolare dei governi. Stimato e blandito, di nuovo oggetto di antiche riverenze. “E’ l’unico vero politico”, “Ah, se fosse lui il leader”, e via omaggiando: da settimane riecheggia nel Palazzo l’eterno odi et amo di un ceto politico che gli fa la guerra ma non riesce a prescinderne.
Galeotta fu la forzata collocazione agli Esteri. Giunto alla Farnesina con i crediti accumulati dopo le due rinunce precedenti, forte di un conquistato fluent english, D’Alema ha impiegato pochi mesi per mettere in scena la nuova politica estera dell’Italia: multilateralismo, Onu protagonista, l’Europa al centro, collaborazione mediterranea. In un’escalation apparsa azzardata ai più, ha incontrato la Rice, spiattellando amare verità sull’Iraq e sul resto; ha definito “sproporzionata” la reazione israeliana all’offensiva degli Hezbollah; non ha temuto di dichiararsi, come i vecchi democristiani, “equivicino” a israeliani e arabi. Fino ad accreditarsi come mediatore internazionale nella crisi libanese, coinvolgendo la riluttante Europa e lavorando da protagonista per l’invio di truppe nella terra martoriata. Attivismo sanzionato dall’ingresso italiano nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Un accidentato ma vero percorso da statista, se facciamo salva la tenera gaffe del “Bye bye Condy”, affettuoso saluto telefonico con la Rice sbandierato da un improbabile pescatore di Marettimo.
Il D’Alema ministro degli Esteri merita dunque il voto alto che il sondaggio della scorsa settimana gli attribuisce. È come se la nuova responsabilità abbia finalmente collocato l’inciucista (vero o presunto) per definizione, snodo obbligato di ogni italico complotto, su un’ideale collinetta da cui osservare con altezzoso e benevolo distacco la canea della politica romana. Una salubre altura da cui il magnanimo leader può anche consentirsi di spandere vaghe parole di miele per segretari assenti, avversari arrabbiati, straniti Presidenti del Consiglio.
Dunque, che tutti rendano omaggio a Bertinotti & company. Con i loro atti di guerra a D’Alema, ci hanno privato di un Presidente della Camera troppo incline al gioco politico, ci hanno evitato un Presidente della Repubblica troppo giovane per farsi ingessare. Forse hanno regalato all’Italia un uomo di Stato.