Marco Pannella

Lo incontrai la prima volta nel 2000, durante la campagna per le regionali. Mi volle vedere a casa sua per convincermi che avremmo vinto le elezioni – nelle quali i radicali erano alleati del centro-sinistra – solo mandando massicciamente in TV la Bonino, ancora reduce dal brillante risultato delle europee del ’99.

Io arrivai al suo cospetto due volte disarmato. Non avevo titolo alcuno per rappresentare il mio partito, il cui segretario non voleva mandare in Tv il presidente del Consiglio, figuriamoci che voglia aveva di mandarci la Bonino. In secondo luogo, il mio datore di lavoro, che aveva già fin troppi guai, era stato chiaro: “Vedilo,  ma non prendere alcun impegno”. L‘intesa con i radicali andava bene, ma solo se ben nascosta: non si doveva pagare dazio con il Vaticano, i moderati, etc…

Arrivato in gran segreto (alle 7 di mattina) in via della Panetteria, mi ritrovai in uno stanzone invaso dal fumo e dal volume troppo alto di radio Radicale. Nella cucina adiacente, lui inveiva contro la sua radio, colpevole di non so quale omissione, mentre metteva su il caffè e sgombrava un tavolone pieno di libri, per far posto a mozzarelle, sopressate, melanzane sottolio, pane fresco, pizza appena sfornata, olive, marmellate fatte in casa e ogni ben di dio.

“Eccolo qua, il comunistello del cazzo”, mi fa con il più smagliante e fascinoso dei suoi sorrisi. “Dicono che sei tu che mo’ comandi in Rai…”. “Guarda Marco, non è vero niente…”. “Ma falla finita… il tuo amichetto è uno stronzo.  Non ha capito che sta per essere fatto fuori. Lo stanno aspettando al varco…”, e giù il lunghissimo elenco degli assassini del governo già in azione. “Avete una sola possibilità per salvarvi. Mandare giorno e notte Emma in Tv”. “Marco, come si fa… e poi non dipende da noi… decide il partito”. “Ma non dire cazzate, allora vuol dire che non contate proprio niente. A maggior ragione,  sarete cacciati”. Provo a dirgli che cercheremo, vedremo, troveremo uno spazio, e poi la vigilanza vigilerà… “Vaffanculo. Tu lo sai che non serve a niente l’interventuccio nella tribunetta. Bisogna invadere tutti gli spazi possibili. E solo con Emma. Ma li vedi o no i sondaggi? È in testa sempre. È l’unica spendibile e presentabile”. “Marco, io non sono in grado…”. “Va be’, napoletano del cazzo, mangiati questa mozzarella, me l’hanno portata ieri dall’Abruzzo…”. “Oddio Marco, la mozzarella abruzzese…”. “Non capisci niente, voi napoletani vi adoro ma non capite niente”. E qui parte mettendo in fila uno dopo l’altro Croce e Craveri, Napolitano e La Capria, Scotti e Di Donato, Luciano il cameriere di Ciro a S. Brigida e un contrabbandiere che – non si sa come e perché  – lo cercava per regalargli le sue amate Celtique.

Dopo l’offensiva sulla mozzarella, parte quello sugli insaccati, poi il racconto del mitologico ceffone sotto Botteghe Oscure (“Ogni tanto li rivedo, i compagni della vigilanza. Mi adorano. Dicono che avevano ricevuto l’ordine da Pajetta…”) e qualche altro affettuoso cazzatione al mio dante causa. Infine – come solo i principi sanno e possono fare – mi congeda all’improvviso, bruscamente. Ma con un grande abbraccio, e dicendo: “Torna quando vuoi”.

L’incontro finì senza alcun risultato concreto. Io ne uscii confuso,  ubriaco di parole, conquistato da quell’uomo seduttivo, arrogante, torrenziale, insinuante,  offensivo, contraddittorio. Di cui, in fondo, mi colpì una sola cosa: il suo evidente, sconfinato amore per la libertà. A ripensarci ora, la più importante eredità che lascia a ognuno di noi.