Post lungo (scusatemi), ora recuperato grazie a Dani, dopo che qualche buontempone aveva hackerato il blog.
Chi mi conosce sa che qualunque nuova idea mi attizza. È una vita che “faccio progetti”: me li invento, coinvolgo gente, ne parlo in giro – con fin troppa facilità/faciloneria. Poi ne realizzo sì e no uno su dieci, ma non per questo demordo. In sostanza, potrei essere definito una specie di entusiasta cronico.
Della vicenda Olimpiadi non so granché. Non conosco il piano presentato, tantomeno i suoi numeri. Ma so in generale che analisi di mercato, fattibilità tecniche, piani di marketing, redditività attese degli investimenti, impatti sul territorio, business plan, etc… lasciano il tempo che trovano quando si parla di piccoli progetti (quelli che ho incrociato nella mia vita). Figuriamoci quando si parla di un piano di proporzioni colossali, da attuare da qui al 2024. Piccoli o grandi che siano, anche i progetti meglio concepiti su carta incontrano ad un certo punto la realtà: le burocrazie che immancabilmente ritardano, l’economia che non gira secondo le previsioni, i protagonisti che non fanno il loro dovere, etc… Insomma incontrano la vita vera, con cui per fortuna tutti dobbiamo fare i conti.
Per capirci fino in fondo, aggiungo che non penso che i cosiddetti grandi eventi (si tratti di Expo, di Olimpiadi o altro) siano oggi di per sé degli attrattori decisivi, dei creatori automatici di ricchezza e sviluppo. L’Expo di Parigi del 1900 fu il simbolo della modernità industriale trionfante, le Olimpiadi di Roma del 1960 segnarono l’ingresso dell’Italietta del dopoguerra tra i paesi più sviluppati del mondo. E così via. Ogni appuntamento di questa natura ha una sua storia e un suo perché: può funzionare oppure no. Oggi, in generale, queste manifestazioni funzionano meno di prima: per il loro gigantismo; perché sono meno “straordinarie” e più di routine per lo smaliziato pubblico globale televisivo; e anche perché gli Stati hanno meno soldi da investire.
Tutto ciò detto – come vedete non sono un tifoso cieco – la mia opinione è che le Olimpiadi 2024 sarebbero oggi servite (come è accaduto per l’Expo a Milano) per contribuire a fare uscire Roma e l’Italia dalla spirale di depressione in cui sono avvolte: il maggiore fardello che ci portiamo addosso.
Una città, un paese, un territorio diventano attrattivi oppure marginali innanzitutto per l’investimento in fiducia che sono capaci di generare e alimentare. L’economia comportamentale, la psicologia cognitiva, le neuroscienze ci spiegano da tempo quanto sia cruciale il fattore-fiducia nel determinare il futuro di una società. E quanto la spirale depressiva sia un buco nero dal quale molto difficilmente si esce: vale per gli individui, a maggior ragione per una comunità.
Ma tutto ciò non interessa, in queste ore, a giornalisti ignoranti, opinionisti cinici e politici mediocri. La rinuncia alle Olimpiadi aggiunge condimento al piatto fumante della sfiducia, questo è l’essenziale. Perché i nostri eroi sanno bene che più aumenta la depressione, più diminuisce l’autostima di un intero popolo, più saranno ascoltati (e votati) i profeti di sciagure e gli apocalittici.
I generatori automatici di depressione non mi avranno. Nel mio piccolo – Olimpiadi oppure no – continuerò ad essere entusiasta della vita, della sua bellezza, delle sorprese che ci riserva, delle meraviglie del futuro, dell’avventura e del rischio. Il mondo è infinitamente più grande e bello delle miserie di chi passa il suo tempo ad alimentare sospetti, a seminare risentimenti, accidia e tristezza.
E anche voi, cari i miei grillini, di questo passo un giorno potrete finanche andare al governo: ma sappiate che la cultura plebea, manettara e regressiva che al momento vi ingrassa, la pagherete domani a caro prezzo. Il mostro della depressione che state allevando purtroppo non fa sconti.
La depressione in Italia non nasce dal reprimere il fare, ma dal constatare che tutte le occasioni di fare e fare bene sono frustrate dall’ottusa avidità italiota, alimentata da fenomeni di subcultura criminale e specificamente mafiosa e sostenuta da una classe politica corrotta. Dare nuove occasioni a queste abili manovratori e distrattori del soldo pubblico è tanto deleterio quanto rimettere un pedofilo in un asilo dopo varie recidive. Non si deprima, voti invece per un ricambio della classe politica e per un limite agli incarichi, perché l’occasione fa l’uomo ladro.
Chi si interroga sulla fase politico-sociale che attraversiamo deve avere in mente un punto fondamentale. E’ chiaro che i grandi eventi cui Velardi fa riferimento hanno avuto un ruolo straordinario per ciò che hanno rappresentato. La celebrazione della Modernità, per un verso, l’ingresso nella società dei consumi (pessima espressione) per l’altro. Ma il punto è sempre quello. Al di là degli effetti sull’indotto e sull’economia, quelle furono espressioni che ebbero un forte calore mediatico e simbolico. Agirono come autentici volani sullo spirito collettivo. Ebbero una molteplicità di ricadute semantiche (di senso) e semiotiche. Agirono da propulsori per un entusiasmo collettivo, di cui vi era assoluto bisogno per “esserci negli accadimenti dellla getttatezza contemporanea”.
Oggi il comun denominatore della contemporaneità è segnato da una serie di “incidenti”.
Non voglio parlare di business plan, fattibilità, filiere, ricadute economiche etc.
Ma è chiaro che l’economia reagisce immediatamente secondo l’impatto emotivo dei fenomeni. Basta una “percezione” e le borse (come gli investimenti) raggiungono picchi e abissi nell’arco di poche ore. Allora cosa è davvero importante? La percezione emotiva. L’atteggiamento verso con cui si vivono gli accadimenti.
Olimpiadi? Ma come possiamo credere che un movimento politico come i 5Stelle possa essere in grado di gestire un progetto “possibile”.
Lungi da loro prendere in considerazione la gestione di una “progettualità” per di più “possibile”. Se potessimo definire l’attuale epoca socio-politica potremmo usare il termine di “nichilismo immobilista”. Al di là di proclami il caso Roma ( mi dispiaccio per i cittadini di una così splendida città) è riassumibile in una semplice espressione l’età delle “passioni tristi”! E già il termine “passioni” risulterebbe esagerato. Meglio sarebbe “sensazioni” e pure lievi, impercettibili. Ma comunque tristi. Il tutto si accompagna a una idiosincrasia nei confronti di “cambiamenti” per di più “possibili”. Questo scatena una “sensazione (abbiamo detto non passione) rabbiosa. Che si accompagna a un atteggiamento “vittimario” (declinazione più estesa del vittimismo) che di fatto blocca tutto in nome di un’inerzia di fondo. Ma con una pretesa rivendicatrice. “Come osate cambiare?”, “Io in quanto vittima pretendo di…!”, “Sono vittima e quindi mi è dovuto questo e quest’altro…!”. Se qualcuno chiedesse “scusa , ma vittima di che?” ecco le risposte ; “Vittima del Sistema!”, “Vittima di voi altri!” …etc.
Dunque reagiamo alla voluta depressione di costoro che messi di fronte a responsabilità che non sanno gestire vorrebbero che anche noi ne fossimo colpiti, reagiamo iniziando una forte e implacabile critica all’ atteggiamento “vittimario”.
Noi andiamo avanti, ragazzi! Alla faccia vostra!