Il 4 dicembre è fallita una “rivoluzione dall’alto”. Non è la prima volta che accade: in passato vi sono stati altri tentativi di riforma del sistema, magari meno organici, e sono sempre andati male. E’ che in Italia anche il più timido progetto di cambiamento si infrange sempre contro il perenne muro dei corporativismi, degli interessi consolidati, di un conservatorismo atavico. Anche questa volta non è andata: e certo non ce la possiamo prendere con il popolo bue. Evidentemente si sono commessi degli errori, e seri. Deve riflettere prima di tutto chi ha promosso la rivoluzione, evitando di fare – nella concitazione del dopo – ulteriori sbagli (uno già fatto, e fermiamoci lì…). Con l’accaduto devono misurarsi anche i militanti dell’esercito e i simpatizzanti di Matteo Renzi, che devono essere tenaci e pazienti, non aspettarsi rivincite immediate, dare tempo al tempo: questo è il loro ruolo, oggi. Mentre dall’esterno chi ne ha voglia può dare una mano a capire: lo fa – per esempio – Paolo Mieli, con il suo rigoroso e severo decalogo (eccolo, sul Corriere di ieri). Oppure Luca Ricolfi, mai tenero con il premier uscente, che avvia un bilancio ragionato sul triennio renziano (eccolo, sul Sole 24ore dell’11 dicembre). Una seria e approfondita discussione. Quello che ci vuole.
Poi però, siccome ogni rivoluzione, riuscita o no, produce anche schietti rigurgiti reazionari e anima crudi sentimenti restauratori, ecco avanzarsi stamattina, sempre sul Corriere, il Cardinale Ruffo del terzo millennio, che ci regala la sua versione del 4 dicembre. E si esalta, elencando le salutari conseguenze del dopo referendum. Finalmente scompare il leaderismo, si torna a “un governo balneare a Natale che tiene il posto al prossimo, mentre il potere e la lotta per acquisirlo si spostano nel partito”. Che bellezza. Finisce “il maggioritario, condizione essenziale del leaderismo. Ma il maggioritario non esiste più”. Evviva. “La prossima legge elettorale rischia di essere, in ogni caso, più proporzionale di tutte le precedenti”. Meraviglia. Un’escalation entusiasmante, fino all’orgasmo che il Cardinale conquista paragonando il 4 dicembre al referendum del 1974: “è la chiusura di un’era”. Salvo che al posto di Pannella che allora modernizzò il paese, oggi c’è Dibba, a capeggiare le orde che da Castellammare invaderanno l’Italia. Al canto di “pe ‘vuie so’ dulure e panza, signo’, iateve a cuccà!“, l’inno dei Sanfedisti che tanto piacerà, immagino, al Cardinale.
Il voto del 4 dicembre avrebbe potuto essere interpretato in molti modi. Non tutti negativi. E avrebbe potuto anche a letture ottimistiche se affrontate lucidamente su un percorso a medio e lungo termine.
Ma, come sempre quando c’è di mezzo una sconfitta, la faccenda si ingarbuglia. si complica e prevalgono pulsioni emotive, personalistiche e revangismi più o meno reazionari.
Precisissima l’analisi in dieci punti di Paolo Mieli. Il quadro che si presenta adesso è davvero non entusiasmante e rischia di bruciare quella che è stata la prima, giovane e dinamica classe dirigente che ha sfidato l’ establishment e la kafkiana macchina della Pubblica Amministrazione. Va dato merito a Renzi di aver capeggiato una autentica rivoluzione del costume stesso degli italiani. Va dato merito a Boschi e a Marianna Madia di aver avuto il coraggio di affrontare il punto centrale che da sempre costituisce il cancro dell’Italia.
Il ritorno del pantano oltre a essere auspicato dal caleidoscopico mondo dei NO, nel breve e medio periodo rischia di affidare i destini del Paese non ai D’Alema, Bersani, Speranza e pochi altri quattro gatti che non contano davvero niente di niente nella loro pochezza totale, ma il rischio vero e probabilissimo è che ci si consegni mani e piedi alla forza politica che incarna davvero lo spirito italiota all’ennesima potenza 3.0.
Il Movimento5Stelle. Cioè un’armata qualunquista, populista, inadeguata, impreparata, con spinte mistico-cibernetiche e fascistoidi.
Nel frattempo il PD che avrebbe potuto allargare il proprio progetto riformista con calma aprendosi a quei tredici milioni di voti frutto sincero del lavoro dei comitati dei SI (allungando il proprio sguardo su quel popolo moderato e liberale che ha avuto il coraggio di accompagnarci in quest’avventura di modernizzazione del Paese) si è richiuso come al solito nel vecchio frullatore autoreferenziale.
Inutile che ripeto gli argomenti che sono nel tuo post e che sono ribaditi da Mieli e Ricolfi ma credo che il momento della riflessione sarà la solita analisi della sconfitta (che tanto ama la sinistra) con l’inevitabile resa dei conti (anche questa amatissima dalla sinistra, soprattutto se a pagarne il prezzo sono le figure più avanzate e innovative).
L’unica cosa, ma davvero, l’unica, che mi sento di consigliare nel mio microscopico angoletto è, ripeto, il non sottovalutare la spinta che ruota intorno ai comitati.
E’ grazie al lavoro dei comitati per il SI che si è radicata nel Paese una sincera spinta riformista e una disinteressata e appassionata voglia di partecipazione.
Se lasciamo appassire anche questo allora possiamo davvero scrivere la parola “fine” a l’unico vero tentativo riformatore che partito dall’alto ha immediatamente stimolato la voglia di protagonismo dei cittadini.
E stavolta la fine sarà definitiva.
Ma dove sta scritto che il maggioritario equivalga a modernizzazione o a rivoluzione liberale?A me sembra che sia solo funzionale al cd.liderismo? E poi mi sembra non corrispondere al vero il fatto che quelli del si si siano messi contro l’establishment (Confindustria, Agnelli, Morattti, Bazoli,Moretti,Chicco Testa,tutti i grandi gruppi bancari e finanziari, tutti i dirigenti delle grandi aziende di stato e comunali,Enel,Eni,ecc.,Obama, Scalfari, RAI, Corriere, Repubblica, Stamapa tutti a favore del si, chi resta fuori?)?
E per quanto riguarda la Kafkiana(?)P.A. non ci sono cambiamenti rilevanti nell’atteggiamento dei dirigenti e dei funzionari, basta chiedere ai cittadini o andare presso un ufficio pubblico(ASL,INPS, REGIONE,ecc) per rendersi conto del muro di gomma contro cui ci si continua a trovare.I comuni cittadini lo sanno bene vivendo ogni giorno sulla propria pelle le situazioni più assurde di fronte alle quali sono impotenti.Non servono a questo scopo i licenziamenti sempre pochi e che c’erano anche prima contro i furbetti del badge, ma occorrono azioni correttive costanti e l’esempio da parte d dirigenti competenti ed onesti, che si mettano insieme ai dirigenti al servizio della nazione, come prescritto(e non applicato) dall’art.98 della Costituzione, quella vera scritta da persone mille miglia al di sopra degli attuali apprendisti riformatori(non volendo usare definizioni più appropriate e che potrebbero però sfociare nell’insulto mio malgrado).
La differenza rispetto ad altre figure riformiste del recente pastato è che Renzi è giovane ed ha un seguito numeroso per questo sono fiducioso per il futuro anche se forse attraverseremo prima un buio cinquestelle!
Ho incontrato tardi la Rivoluzione napoletana, ai miei tempi non era nemmeno citata nei libri di testo. Ma me ne sono appassionata davvero solo nel bicentenario; e più leggevo, e più approfondivo, più la mia partecipazione si faceva da intellettuale ad emotiva. Quella fallita “rivoluzione dall’alto” (ma poi le rivoluzioni dal basso hanno forse avuto successo?), quella giovane, colta, illuminista classe dirigente stroncata, mi provocavano un senso di rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non era stato, e per un paese che, in un bivio della storia, aveva imboccato la strada sbagliata.
Figuriamoci se non è così adesso, e se non vedo le assonanze fra questi due storici fallimenti.
Studiamo pure, è necessario (quando sarà un po’ passata), analizziamo gli errori (non ne fece anche Championnet?) di tutti e soprattutto nostri… Ma il fatto è che, come due secoli fa, tutte le forze conservatrici si sono alleate per stroncare la velleità di riformare il paese; ci sono i cardinali Ruffo, i Nelson e i Borboni, e ci sono i lazzari, quelli che stanno peggio (e che staranno ancor peggio in futuro) mandati avanti a picchiare e dileggiare, illusi di farlo per se stessi. E mi sembra di vedere, sottotraccia, ma non tanto, il desiderio di riuscire a cancellare – come fu per la rivoluzione napoletana – anche la memoria di questo tentativo riformatore. Che senso hanno, se non questo, gli attacchi alla Boschi che “è ancora lì”, e non solo, l’infame sorride… Speriamo di evitare una Piazza del Mercato, almeno…
C’è però una cosa che nascondi, Velardi, nel tuo post, forse per non intristirci troppo; che il fallimento della rivoluzione del ’99 chiuse per un lunghissimo periodo ogni possibilità di rinascita del meridione, che non si realizzò né con il Risorgimento né con la Resistenza.
Allo stesso modo penso che questo referendum sia la pietra tombale su ogni velleità di riforma del nostro paese, forse non per secoli, dato che oggi la storia gira più in fretta, ma almeno per una generazione.
Il che significa che, per me, è stata l’ultima occasione. Non ci voleva che il tuo post per deprimermi ancora di più…