Nelle mie comparsate Tv o nei miei post, sono stato (in passato, ormai non più) un discreto polemista, ma ho sempre cercato di non oltrepassare il limite dell’educazione e delle civiltà. Tentazione che avrei soprattutto nei confronti di molti giornalisti, che non solo ritengo professionalmente inadeguati, ma di cui mi indigna l’assoluta mancanza di moralità. Per evitare di insultarli, ho preso l’abitudine – che prima non avevo – di chiedere i nomi dei partecipanti ad un qualunque talk, prima di accettare un invito (infatti ora ci vado poco…). Quanto ai politici, sono più indulgente nei loro confronti. Perché fanno un mestiere più difficile e ingrato; e spesso l’evidente inadeguatezza di molti discende dal sistema in cui sono costretti a muoversi, più che dalle loro qualità personali.
Se non ricordo male, l’insulto più pesante che ho lanciato ad un politico fu quando definii (molti anni fa) “fallito, bollito” un leader che ho conosciuto bene in passato, e di cui non ho mai più condiviso le scelte. Giudizio sbagliato nel merito – perché nel frattempo il furbacchione si sta dimostrando tutt’altro che bollito – ma soprattutto figlio di una mia mancanza di serenità. Ero molto incazzato con un uomo in cui avevo creduto, che ritenevo stesse tradendo quel cambiamento che aveva incarnato, ai miei occhi, per un certo periodo. E, quando non si è sereni, non si misurano le parole. (Allo stesso modo si potrebbe dire che ce l’ho tanto con i giornalisti perché è il mestiere che avrei voluto fare e non ho mai, in realtà, fatto).
E’ un terreno complesso e impegnativo, quello delle motivazioni profonde delle parole, dell’introspezione psicologica dei linguaggi. A maggior ragione nell’era social, ora che ognuno di noi è – a suo modo – protagonista dello spazio pubblico, e ritiene che – per trovare uno spazio che vada al di là del rumore di fondo, mandare un segnale – sia imprescindibile l’uso di immagini sempre più forti, toni aggressivi, metafore scioccanti. E io non voglio addentrarmi nel tema, che ha bisogno di ben altri approfondimenti.
Voglio solo porre una domanda semplice, banale. E’ possibile che nessuno riconosca la carica di odio viscerale, umorale, violento che si sta scatenando pubblicamente nei confronti di Matteo Renzi dal 4 dicembre scorso? Non parlo, naturalmente, delle critiche politiche, anche radicali, che chiunque ha il diritto-dovere di fare. Mi riferisco invece ad un risentimento cupo che attraversa l’intero sistema politico-mediatico, e si traduce in una forma continuata e ossessiva di character assassination nei suoi confronti, che punta a distruggerne volgarmente credibilità, reputazione, lucidità, capacità di intendere e volere. E’ un accanimento che coinvolge economisti e costituzionalisti, sociologi e comunicatori, noti blogger, star dei talk, giornalisti che con la destra scrivono pensosi editoriali e con la sinistra scrivono tweet insultanti, seriosi professori universitari che in rete tornano goliardi. Per non parlare del cannibalismo interno al Pd, che alimenta insulti senza freno. Un fenomeno inquietante – che solo la strutturale faziosità dei media impedisce di vedere – cui nessuno mette un limite. Non parlo degli amici di Renzi, come è ovvio, ma ci sarà qualche non tifoso, qualche persona normale disposta ad alzare un dito per dire: fermatevi, la canea sta diventando veramente disgustosa?
Verrebbe da dire, tornando alle psicopatologie, che questa violenza forse è scatenata dalla delusione per il risultato del referendum. In cuor loro, tanti oppositori di Renzi volevano che lo vincesse, per potere continuare ad esercitarsi nell’eroica critica al potente di turno, nella ribellione da tavolo verso il despota. E ora si ritrovano senza la loro bambolina vodoo. O forse affonda le sue radici in una connaturata viltà dei nostri connazionali, buoni ad infierire sul nemico solo quando è stato sconfitto. O forse – scrutando il buono del fenomeno – è il contraccolpo di segno uguale e contrario alle aspettative che il giovanotto aveva generato, anche tra coloro che oggi lo insultano.
Resta il fatto che su tutto questo Renzi dovrà interrogarsi a lungo, andando molto al di là delle incerte e contraddittorie risposte di giornata, se vorrà riprendere il cammino.
L’ha ribloggato su MAPPE nelle POLITICHE SOCIALI e nei SERVIZIe ha commentato:
… una forma continuata e ossessiva di character assassination nei suoi confronti, che punta a distruggerne volgarmente credibilità, reputazione, lucidità, capacità di intendere e volere. ..
Purtroppo quello che sta accadendo oggi nei confronti di Renzi si inserisce nell’antropologia tipica dell’italiota medio. Non è un fenomeno isolato. Renzi è l’occasione per far emergere le caratteristiche che da sempre qualificano chi abita questo Paese.
C’è un sentimento di fortissima invidia personale nei confronti di chi è capace di prospettare un cambiamento e di rischiare!
Elementi caratteriali che certo non brillano nel cittadino medio. Nel cittadino medio alberga insicurezza, infantilismo, immaturità e un’assoluta voglia di certezza che lo proteggano dalla gettatezza della vita!
Mi sono scontrato anche io con “illustri” baroni universitari e parrucconi con nickname da cartone animato… e ho percepito in loro la paura che perdessero il loro meschino feuduccio conquistato in maniera spesso più che opaca.
Presto lanceremo una bella campagna-verità e scoperchieremo il funzionamento dei concorsi universitari (pronto…il tuo l’ho fatto passare…il mio è sistemato?).
Per quanto riguarda la rabbia verso Renzi basta ricordare che gli italiani sono avversi verso qualsiasi tentativo riformista….
Certo che mai come adesso occorre calma e gesso.
Non agire di impulso.
E ricordarsi che tredici milioni di voti, oggi, sono davvero durissimi da riconquistare!