Morte di un brand mai nato

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Andiamo alla sostanza, amici del Pd. Senza fronzoli. Anche se toccherà fare un discorso non semplice, perché riguarda un pezzo (per quanto distante) della mia vita, coinvolge esperienze di amici e conoscenti, richiama un vissuto – come si dice – fatto di storie, consuetudini, visioni comuni, modi di ragionare, letture, ricordi, parole. Un denso lessico familiare, insomma.

La domanda franca da farsi è se, dopo il 4 marzo, il brand Pd sia ancora spendibile. Intendendo per brand non la formuletta da markettari, ma quel corposissimo insieme di interessi, valori, persone, memorie, conoscenze, aspettative, promesse,  percezioni che rimandano all’identità di un prodotto come di una città, di una comunità, di un’azienda come – ovviamente – di un partito.

Lasciamo stare la storia travagliata del Pd. Anche se già l’incontro di due tradizioni sconfitte – l’una dalla storia, l’altra dal golpe giudiziario dei primi anni ’90 – non deponeva a suo favore; per non dire poi delle lunghissime convulsioni (dall’idea iniziale di Salvati alle dispute sul trattino, dalle fusioni a freddo alle scissioni, passando per leadership contrastate, lotte intestine e macchinazioni) che ne hanno caratterizzato l’esistenza.

Il punto è che lungo questo accidentato percorso è venuta meno la ragione di fondo della nascita del Pd (partito a vocazione maggioritaria in un sistema bipolare), perché la domanda di rappresentanza ha surclassato quella di governabilità, e non c’è più, e non ci sarà per molto tempo, il bipolarismo (malgrado le fantasiose analisi che circolano in queste ore, e moriranno nel giro di qualche mese). Così del Pd – e ad incarnarne il brand, agli occhi degli italiani – è rimasta oggi solo la macchina. Che non solo non sa dove andare, ma è fatta di pezzi arrugginiti, obsoleti, in molti casi da buttare.

Dispiace dirlo, ma di certo il Pd non sarà rimesso in piedi da una – spesso dignitosa – classe dirigente fatta di persone che si sono spese nel governo del paese, quasi senza interruzione, nei decenni trascorsi.  La loro stagione è conclusa. Ancora più sicuramente, non potranno invertire la rotta i dirigenti periferici del Pd, in particolare quelli meridionali: in generale notabili stanchi, privi di visione e di passione, freddi gestori dell’esistente. Professionisti della politica che, anche nei casi migliori, esprimono comunque un’idea morta e sepolta (top-down, per sintetizzare) di società.

Dissolte le grandi opzioni strategiche di cui sopra, del Pd resta questo esercito, che proprio in queste ore sta dando il peggio di sé: tremante all’idea di restare senza potere, fatto di caporali pronti a svendersi agli avversari per un piatto di lenticchie, incapace di progettare la lunga traversata nel deserto dell’opposizione, figuriamoci se in grado di ricostruire dalle fondamenta una forza politica all’altezza delle sfide.

Chi vorrà misurarsi con questa impresa, dovrà dunque per prima cosa capire se varrà la pena riciclare un brand morto o costruirne con pazienza uno nuovo.

Questo articolo ha 2 commenti

  1. Luigi Vigliani

    Si vedrà nelle prossime settimane. Se, come è giusto che sia (lo ha chiesto il Popolo italiano), Lega (partito di destra) e M5S (partito di sinistra, destra, centro sopra e sotto) riuscissero a fare un governo, finalmente cadrà, definitivamante, la fittizzia e obsoleta contrappossizione tra “destra” e “sinistra” che tanto affascina (solo) i commentatori delle dinamiche politiche italiane.
    Sarà il libera tutti. Si capirà finalmente che la destra (quella italiana) nulla ha a che fare con il concetto stesso di destra e la sinistra (quella italiana) è una definizione buona per tutte l stagioni e per tutte le latitudini ma che oggi non possiede più un significato suo proprio.
    Si dovrà prendere atto che vi è una grande forza poplista trasvresale che si alimenta di invidia sociale, rabbia, contrapposizioni al ribasso tra emarginati, fake news e che ha (ma solo nel caso del consenso alla Lega al nord) un unico fondamento reale: le troppe tasse. Tutto il resto sono balle.
    A questa forza se ne potrà contrapporre una altrenativa e distinta: modernista, liberista, riformatrice ed europea, che dovrà trovare una proporia forma e un nuovo brand, nella quale potranno riconoscersi tutti coloro che non si riconoscono nella prima.
    Si dovrà ripartire dall’esito del referendun del 4 dicembre (d’altronde quello che è capitato il 4 marzo non è altro che la sua onda lunga): anti riformatori 59%, riformatori 41%.
    Buona fortuna a tutti.

  2. ENRICO GRANDONI

    Il PD è in buana parte quello che dice Velardi ma ….ma Renzi è stato ed è un’altra cosa

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