La parte d’Italia non annessa al governo carioca si chiede angosciata che fare di fronte a Fontana che vuole abolire le leggi antirazzismo, come rispondere con efficacia a Salvini che ne dice una o più al giorno, quali sono le ricette per far fronte al risentimento. Nel frattempo c’è chi disegna fronti repubblicani, chi annusa periferie, qualcuno aspetta il ritorno in campo del puzzone di Rignano. E c’è anche chi torna a promuovere impegnativi appelli, che animeranno i giochi di società di pensose e afose serate intellò. Sempre – tutti, ma proprio tutti – stando fermi.
Non si va oltre perché ancora bisogna intendersi su un punto – diciamo – non secondario: contro/su/per che cosa mobilitarsi? E’ fascismo o una roba che gli somiglia quello che ci sta passando davanti? Per meglio dire, dando per assodato che fez, orbaci e manganelli non sono dietro l’angolo: il governo gialloverde sta inoculando nella società italiana tossine talmente velenose da provocare danni non rimediabili al vestito sgualcito della democrazia, vere e proprie mutazioni genetiche nel corpo sociale/politico/istituzionale? Tali quindi da rendere necessarie e urgentissime (Cacciari) mobilitazioni straordinarie per salvare il salvabile, chiamate alle armi per evitare un punto di non ritorno?
Io non la penso così. Tanto per cominciare, se è vero che una mutazione genetica della società in cui viviamo c’è stata o è in atto, riguarda tutti noi. Per fortuna, aggiungo. Negli ultimi decenni (dal ’68, secondo un’interessante datazione proposta da Detti e Gozzini ne “L’età del disordine”) le 4 grandi e definitive globalizzazioni di merci, capitali, informazioni e persone hanno modificato radicalmente stili di vita del presente e visioni del futuro, relazioni tra le persone e tra le persone e le istituzioni. Nessuno di noi pensa le stesse cose che pensava anche solo pochi anni sui concetti-chiave che ci hanno formati come cittadini: democrazia, rappresentanza, Stato, socialità, etc…. Parole che oggi suonano ridondanti, retoriche e vuote. Almeno dentro di sé ognuno è consapevole che queste categorie vanno riformulate sul piano teorico e fortemente innovate nella concretezza. Il punto – semplice nella sua drammaticità – è che non sappiamo come. Da qui l’attuale impasse delle élites (non solo dalle nostre parti). Hanno generato la più grande trasformazione del mondo mai vista, ora non sono in grado di prendergli le misure. Dovevano completare l’opera costruendo nuovi livelli sovranazionali di governance; non si poteva pretendere che procedessero con analoga rapidità. L’intendance suivra, avrebbe detto De Gaulle. Già, ma quando?
E’ in questo spazio, in questo vuoto temporale che si inseriscono populismi e sovranismi. Salvini e Di Maio sono immersi nel mondo esattamente come tutti noi, ma possono limitarsi a fotografarlo, titillando umori, pulsioni e tic di una nuova società che, al momento, non ha coscienza di sé e si specchia nella loro propaganda. E non sappiamo se la loro azione provocherà traumi importanti o si limiterà a ritardare il corso del futuro. Quello che è certo è che a questi rischi non si risponde con gli appelli, l’attivismo, il volontarismo, gli embrassons-nous, la difesa di vecchie casematte. Le élites devono pensare il mondo nuovo ripensando sé stesse, smettendola di predicare, facendo un vigoroso bagno di umiltà.
Forse… Che?
Ottimo come sempre… ma qualcosa effettivamente di concreto c’è..ed è la chiara volontà di cambiare assetto geopolitico verso est determinando ricadute finanziare irreversibili..ed è un fatto!