L’Italia è un paese malato e bloccato da quasi un trentennio. E’ malato e bloccato il capitalismo italiano, perennemente in bilico tra ambizioni di mercato, tentazioni protezioniste e questue assistenziali. E’ malata e bloccata la struttura sociale del paese, immobilizzata da un infinito numero di corporazioni irriformabili. Malata e bloccata è l’armatura istituzionale che regge e protegge questi equilibri: dalla giustizia civile e amministrativa, alle burocrazie statali e locali fino all’apparato mediatico che detta l’agenda pubblica. E’ per questa impenetrabile e irriformabile struttura che il sistema-paese perde progressivamente e inesorabilmente mercati, spazi politici, prestigio internazionale, e risulta sempre più ammuffito, periferico e ininfluente. Madamina, il catalogo (delle caste) è questo. Buona ultima, è malata e bloccata la politica che pure, fiaccata dal golpe mediatico-giudiziario dei primi anni ’90, ha tentato a più riprese (dalla prima Bicamerale alla riforma Renzi-Boschi) di rialzare la testa e rimettere in moto il sistema, senza mai riuscirci. Per divisioni interne, strenue resistenze delle corporazioni e una schietta ancorché autolesionista opposizione popolare, che ha consegnato il noto ceffone del 2016 a Renzi (e a tutti noi).
L’ipertrofia italiana del populismo (fenomeno globale altrove arginato, contenuto in limiti accettabili) è figlia di questa condizione di blocco trentennale del paese, non di un disegno demoniaco di Grillo. In altre parole: se il sistema fosse stato capace di autoriformarsi, il fenomeno 5 Stelle non sarebbe esploso fino a raggiungere un terzo dell’elettorato. Affermare che sono loro la casta, può essere un giochino divertente, buono per un titolo di giornale. Ma è un giochino decisamente fuorviante e pericoloso. Perché pericoloso?
Qui veniamo agli argomenti politici di Calenda e di coloro che sostengono il No. Non parlo dei tanti, insopportabili parrucconi (variopinte e sedicenti sentinelle della Costituzione, magistrati più o meno emeriti, vetustissimi accademici, politici del secolo passato) che, in circostanze del genere, riemergono dalle tenebre scomodando sacri principi e argomenti da legulei. Mi riferisco piuttosto a nostri contemporanei (tanti cari amici: Bentivogli, Gori, Nannicini, Scalfarotto e altri). Persone animate da una genuina voglia di cambiamento, riformisti a tutto tondo, al momento accecati dalla prospettiva di poter dare un colpo a Di Maio e Salvini. A loro sottopongo intanto un argomento, solo in apparenza cinico e opportunistico: pensate, realisticamente, che il No possa vincere? Dopo che per decenni si è detto tutto il male possibile dei politici e del Parlamento? Dopo che tutti voi avete previsto riduzioni dei parlamentari nelle varie proposte di riforma presentate in passato? E’ evidente che l’obiettivo di una vittoria del No è risibile. Ma quello di voler testimoniare un’opposizione (espressione di totale impotenza politica) è peggio che risibile: perché non fa che consegnare a sé stessi una sconfitta (l’ennesima) e regalare all’avversario principe (il povero Di Maio) una vittoria che lo rimette in sella e gli ridà fiato. Un disastro. Ma voglio andare oltre il realismo politico.
Poniamo che vinca il No. Dopo che succede? Cade il governo? Non lo credo affatto, ma fingiamo di sì. E poi? Ci volete raccontare la favoletta che, dopo il No al referendum il populismo verrà abbattuto al prossimo voto? E, soprattutto, pensate che, dopo due bocciature di seguito di referendum costituzionali, qualcuno abbia voglia di riprendere nei prossimi anni un qualunque discorso sulle riforme? Il No sarebbe, come è evidente, la pietra tombale su qualunque prospettiva di ridisegno del sistema. E qui si torna al discorso iniziale. Se per un riformista il sistema funziona bene così, se la casta sono i 5 Stelle, se non si può neppure ridurre il numero dei parlamentari, misura innocua e minimale… beh allora abbiamo un’idea diversa di riformismo, direi. Per me riformismo è sporcarsi le mani, non è testimoniare. E’ condurre battaglie di cambiamento, non lisciare il pelo alle proprie constituencies. E’ accontentarsi di qualcosa, è aprire piste, non predicare alla luna. Per cui, amici cari, voglio dire a voi e a Calenda, in conclusione, una cosa semplice, anche se cruda. Ho la sensazione che il vostro posizionamento sia quello tipico delle anime belle: preferite salvarvi l’anima, sapendo che non pagherete dazio, ma continuerete a contare zero. Perché nei salotti perbene, nei giornali, nell’Accademia oggi vi dicono bravi (al momento dichiararsi per il sì in un qualunque consesso del genere è da suicidi), ma al prossimo treno delle illusioni che passa vi scaricheranno. Come hanno sempre fatto, quelli della Casta vera.