Sarò il campione degli snob, ma vi assicuro che non mi interessa più di tanto il risultato finale. Al di là dei fuochi di artificio (spesso fastidiosi) dell’uno e del profilo rassicurante (e spento) dell’altro, non ho visto in campagna elettorale grandi differenze nei programmi e penso che nessuno dei due (anche se, al momento, neppure Superman…) sia in grado di orientare più di tanto i destini dell’America e del mondo, sottoposto a scossoni ben più grandi di quanti possa procurarne il voto di una tuta blu a Detroit (con tutto il rispetto).
Mi interessa invece tornare su un atteggiamento più che diffuso tra i benpensanti planetari, ancora una volta emerso in occasione del voto americano. Perché, fino a quando non si è manifestato nella sua corposissima evidenza, il voto a Trump era così massicciamente sottostimato dal mainstream mediatico? Perché tantissimi (è inutile che ora scuotiate la testolina facendo finta di niente, dicendo io no io no…) ritenevano che fosse semplicemente opportuno e “nella natura delle cose” archiviare una parentesi becera e scorretta, per far tornare le cose nel giusto ordine, per rimettere gli Usa nelle mani di quelli che parlano bene, rispettano le regole e sanno stare a tavola senza ficcarsi le dita nel naso?
Una ragione c’è, e assai di sostanza. In superficie si manifesta persino con i sondaggi, esternazioni di una crosta della coscienza che chiede conforto e rassicurazione, istantanee che tendono a rimuovere sentimenti urticanti che covano sottopelle, pronti ad esplodere al momento dovuto. Nel profondo, il nostro rifiuto a misurarci con il politicamente scorretto (perché di questo si tratta, in sintesi) dipende dal fatto che, in quanto cittadini dell’Occidente, e in quanto democratici (l’etichetta è vaga e sommaria, non me ne viene una più adatta), siamo algoritmi profilati in base a norme, codici strutturati di condotta, di comportamento e di convivenza civile che hanno fatto la fortuna delle società in cui siamo cresciuti per generazioni, ma che oggi non funzionano più.
E qui si arriva al punto che mi sta a cuore. Sotto tutte le latitudini i “democratici” si presentano e appaiono sempre più spesso come quelli che difendono questo qualcosa che non funziona più. Sono le classi dirigenti del nostro pezzo di mondo: vestali della democrazia rappresentativa, intellettuali cool, abitanti di ZTL. Mangiano, si vestono, pensano corretto. Ritengono sacri e intangibili i confini delle regole che (li) tutelano. In una parola, incarnano il sistema: tutto quello che è odiato da chi ritiene (a torto o a ragione) di non farne parte, e se ne sente escluso per ragioni sociali e/o culturali.
Hanno torto e basta questi “antisistema”, qualunque veste indossino e dovunque lo facciano? Possiamo sforzarci di capire le loro ragioni, ascoltarli senza protervia, cercare di interloquire con loro con la necessaria umiltà? Dovremmo, a mio avviso. Invece non avviene. Mai, in America come dalle nostre parti. Di fronte all’emergere dei barbari, noi “democratici” prima scrolliamo le spalle e facciamo finta di niente, poi siamo bravissimi ad indignarci per parole o atti fuori posto, infine alziamo dighe à la Biden per difenderci dagli assalti. Senza produrre mai uno scatto, provare noi a cambiare il sistema, uscendo dalle comode casematte dove siamo acquartierati. Così non si va da nessuna parte. Dunque, amici miei, non tirate nessun sospiro di sollievo se vince Sleeping Joe, (come pare che avverrà, sono le 18.30 del 4 novembre). La prossima volta l’assalto al fortino sarà più feroce.
Grande pezzo