Post lungo, ingenuo e tendenzioso: leggetelo oppure no. In ogni caso buona Pasqua a tutti!
Credo che l’attuale governo durerà fino alla conclusione della legislatura, e mi auguro che Mario Draghi possa continuare a guidare il paese anche dopo le elezioni del 2023. Naturalmente ciò avverrà se le azioni dei prossimi mesi saranno efficaci: viceversa, se la campagna vaccinale si risolverà in un flop, se non arriveranno soldi nelle tasche degli italiani, se non si creeranno rapidamente le condizioni per una solida ripartenza, lo scenario che prospetto non vedrà la luce. Peggio per Draghi, direte. Peggio per tutti noi, secondo me.
Quello che ritengo certo, per cominciare, è che Draghi non diventerà Presidente della Repubblica il prossimo febbraio, sciocchezza messa in giro dal pigro opinionismo nazionale solo per alimentare pettegolezzi e retroscena. Naturalmente tutto è possibile, perché le logiche che guidano le elezioni presidenziali sono complesse, spesso imperscrutabili, legate a compromessi ritenuti accettabili o necessari, a prospettive più o meno costruite sulla sabbia. Oltre che a dinamiche interne alle forze politiche, che nell’autunno 2021 risentiranno dell’esito delle amministrative di importanti città. Ma di sicuro c’è che al Quirinale non è mai salito un Presidente del Consiglio in carica: accadesse a questo giro, prima conseguenza sarebbe l’ovvio scioglimento anticipato delle Camere, assai poco gradito (eufemismo) all’attuale Parlamento, che al momento già conta 125 grandi elettori iscritti ai gruppi misti di Camera e Senato, ingovernabili per definizione. Quanto al merito dell’eventuale scelta dell’attuale premier, potrebbe avere senso se fossimo al termine della sua missione: cosa da escludere, se solo pensiamo alla mole di impegni che il governo ha messo in cantiere. Resta l’ipotesi di eleggere Draghi al Quirinale per giubilarlo, per toglierlo di torno. Magari qualcuno ci pensa e finirà per proporlo. Nel caso, spero che sia respinto con perdite da una maggioranza di persone con la testa sulle spalle. (Sul tema va anche detto che nel febbraio 2022 i grandi elettori saranno 1018, ma che dal 2023 il Parlamento sarà composto da 600 membri. Usando solo un po’ di buonsenso, andrebbe confermato Sergio Mattarella l’anno prossimo, per eleggere successivamente un nuovo Presidente, con una base di votanti che rifletta i nuovi criteri di rappresentanza, oltre che gli aggiornati equilibri politici).
Archiviata (almeno qui, per comodità di esposizione) la partita presidenziale, e nell’ipotesi che la legislatura si concluda nel 2023 con l’attuale governo, resta da capire come potrà riconfigurarsi il sistema nei prossimi due anni e come utilizzeranno il tempo a disposizione le forze politiche. Tema che andrebbe colto come una bella opportunità, visto che la pandemia ha già radicalmente cambiato il mondo in cui viviamo (dal lavoro al commercio, dalle tecnologie alla formazione, dai trasporti all’organizzazione delle città, dalla distribuzione del tempo alle relazioni umane), e i partiti, fino a prova contraria, esistono per questo: per rappresentare una società nel suo divenire. Per tutti suona la campana del futuro: per Meloni, che per ora copre con una sapiente leadership persistenti rozzezze della sua base, come per Salvini, la cui conversione europea appare ancora piuttosto vaga; per Letta, Conte e Di Maio, che tentano una spericolata alleanza, più tossica della “fusione a freddo” da cui nacque il PD, come per i dieci piccoli indiani (forse di più, se n’è perso il conto) che occupano il cosiddetto spazio liberal-democratico.
In realtà è proprio qui che si misura il paradossale vuoto politico del momento. L’Italia del dopo pandemia si intravede solo nell’impianto strategico del governo (con la progressiva messa a terra dei 209 miliardi da impegnare per il Recovery Fund, la novità dei due nuovi ministeri per la transizione ecologica e quella digitale, e più in generale con il respiro che Draghi ha dato alle sue dichiarazioni programmatiche). Mentre le forze politiche (tutte) appaiono impegnate in inconsistenti e insignificanti schermaglie tra loro, nella difesa di bandierine identitarie, nel chiacchiericcio politicistico o in un continuo bricolage organizzativo.
Come se ne esce? Come riempire questo clamoroso gap di indirizzi, di progetti, di strategie? D’emblée verrebbe da dire “speriamo che nasca il partito di Draghi”, un contenitore in qualche modo rispondente ai contenuti che il governo mette in campo. Ma la risposta sarebbe sbagliata. Il sistema mediatico, codecisore con quello giudiziario degli spin di opinione, in un amen triturerebbe questa eventualità nel suo grande blob, come fa da decenni con ogni novità politica. Il raffazzonato sistema elettorale esistente, generato e tutelato da consorterie grandi e piccole, non concederebbe spazi se non di risulta. E soprattutto – politicamente – non avrebbe senso restringere nei confini di un ennesimo partito un consenso che può essere molto largo, in quanto non riferito a identità astratte e ideologiche ma ad un programma concreto, già operativo.
Il problema andrebbe quindi impostato diversamente, ponendo agli attuali protagonisti della politica italiana una domanda precisa: concepite il governo Draghi come uno stato d’eccezione, dopo il quale tornare a quel (finto) bipolarismo che non ha prodotto nell’ultimo ventennio né sviluppo né governabilità? Al momento pare che queste siano le intenzioni dei gruppi dirigenti del centrodestra e del centrosinistra. Ma possono gioire di questa prospettiva i moderati, i riformisti, gli innovatori, coloro che guardano al governo Draghi con fiducia e speranza e si ritrovano ad essere al momento orfani politici? E può consentire una deriva del genere quella vasta, anche se pulviscolare, area centrale della politica italiana, che lambisce fino a settori non marginali di FI e del PD?
Vedremo: ovviamente ognuno prenderà la sua strada. Presumibilmente destra e sinistra esibiranno i muscoli nelle amministrative di ottobre, si aggiusteranno la legge elettorale a piacimento, alle politiche misureranno il loro peso specifico. Non si sa se i riformisti saranno capaci di unirsi; più probabilmente ognuno procederà per suo conto, con relative bandierine, appartenenze, gelosie e piccoli leader. Ma, nel suo insieme, una classe politica civile dovrebbe poi consentire a Mario Draghi di proseguire l’esperienza di governo e far nascere una maggioranza a suo sostegno, dopo le elezioni del 2023.
Questa è la mia modesta proposta, una ingenua suggestione pasquale. A mio avviso, chiunque se ne farà carico agirà nell’interesse del sistema e forse – chissà – incasserà anche qualche dividendo elettorale. Certamente contribuirà a tenere vivo il piccolo sogno di un paese che può rinascere, e finanche di una democrazia dei partiti più credibile e lungimirante.
Opinione condivisibile, anche perché sulla ripresa può incidere più da Presidente del Consiglio che da Capo dello Stato. Il suo standing in Europa e nel mondo da una grande forza alle sue proposte. Inoltre assicura un giusto equilibrio all’assetto produttivo, sia aziende che lavoratori.
Condivisibile e stimolante.Spero che Draghi non venga cooptato come PdR.Ha 1 ruolo politico e soprattutto economico da svolgere nel mondo internazionale, dove sarebbe più utile., anche se non ce lo meritiamo.Ma , vista la crisi dei partiti italiani, spero che intorno a lui ci coaguli no le poche forze riformiste che ora litigano come galletti in 1 pollaio a spese nostre, ma che sono la sola nostra speranza.
Grazie.
Anche io sono d’accordo, cioè piacerebbe anche a me. C’è però un rischio: se si vota per il presidente della repubblica e Mattarella non ci sta, sarebbe meglio avere Draghi al Colle che pincopallo, perché Draghi rappresenterebbe una garanzia nei confronti dell’UE che nessun altro sarebbe in grado di garantire.
Inoltre se Mattarella ci sta e poi si dimette dopo un anno o due nel nuovo parlamento potrebbe esserci una maggioranza di destra che oltre ad avere il primo ministro avrebbe anche il presidente della Repubblica, anche se tutto sommato a Salvini e alla Lega potrebbe in ogni caso convenire avere Draghi come PdR.
Tutto il problema è convincere Mattarella. e non so quante chances ci siano.
Speriamo bene.
pasquale
Anche io sono d’accordo, cioè piacerebbe anche a me. C’è però un rischio: se si vota per il presidente della repubblica e Mattarella non ci sta, sarebbe meglio avere Draghi al Colle che pincopallo, perché Draghi rappresenterebbe una garanzia nei confronti dell’UE che nessun altro sarebbe in grado di garantire.
Inoltre se Mattarella ci sta e poi si dimette dopo un anno o due nel nuovo parlamento potrebbe esserci una maggioranza di destra che oltre ad avere il primo ministro avrebbe anche il presidente della Repubblica, anche se tutto sommato a Salvini e alla Lega potrebbe in ogni caso convenire avere Draghi come PdR.
Tutto il problema è convincere Mattarella. e non so quante chances ci siano.
Speriamo bene.
pasquale
Nice bllog thanks for posting