Invitato da un candidato (Ferdinando Tozzi) che conosco e apprezzo, ho assistito ieri ad un’iniziativa in questa campagna elettorale napoletana che i media descrivono come la peggiore mai vista (siamo pigri e banali, colleghi giornalisti. Ogni volta che si vota piangiamo a calde lacrime il giro precedente. Potremmo anche cambiare disco: magari approfondire, studiare, confrontare programmi, fare interviste non sdraiate, etc… invece di passare il tempo a vergare editoriali indignati e sparare titoli sul niente. Populismo è anche sta roba qui, sappiatelo).
Nella bella cornice di Foqus, l’evento si presentava composto e ben organizzato. Non ho intravisto tra la gente galoppini elettorali (e sì che ho una certa esperienza, li riconosco a un miglio di distanza) né tifosi accecati dall’appartenenza. Da vecchio frequentatore e studioso di piazze ho scrutato l’anagrafe dei presenti (giovani pochini, ma è la norma), la composizione sociale (netta prevalenza di ZTL, provvisoriamente traslocata ai quartieri spagnoli), la prossemica imposta dalla pandemia e rispettata con cura, l’estetica discreta dei più.
Poi ho ascoltato il candidato, che ha parlato delle cose da fare per la cultura a Napoli. Temi esposti con linguaggio fluente e inflessione quasi nulla, proposte concrete (forse fin troppe) elaborate sulla base di focus svolti in precedenza. Ho pensato che mi farebbe piacere vedere Ferdinando in consiglio comunale, per mettere alla prova la sua passione e le indubbie competenze che possiede (endorsement di scarsissimo valore il mio: non voto a Napoli, mio caro!). Tra il suo primo speech, un video artigianale con dichiarazioni di simpatizzanti vari e la lettura di un documento “programmatico”, se ne saranno andati una ventina di minuti.
Meno tempo si è preso Gaetano Manfredi, candidato sindaco. Il quale, forse in 10 minuti, ha detto almeno quattro cose importanti: che per fare decollare la cultura in città sono necessarie le infrastrutture, c’è bisogno di programmazione, si deve puntare sulla qualità e fare leva sui privati. Niente discorsi sul passato, niente accuse agli altri candidati, niente elenchi e blandizie microsettoriali, niente lamentele, promesse, rassicurazioni. Zero politique politicienne, dunque. Molta politica, se vogliamo ridare alla parola il suo significato vero. Dell’aspirante sindaco ho colto una visione di prospettiva e ho saputo come imposterà il suo lavoro. Se farà valere la metodologia che ha indicato per la cultura in ogni ambito della vita cittadina, Manfredi sarà un buon sindaco, forse ottimo. Sono andato via da Foqus (non avendo avuto la forza di ascoltare il dibbbattito che seguiva) con questa convinzione.
Naturalmente stamattina i media cittadini parlano d’altro: manfrine interne ai partiti, candidati che scalciano, polemicucce di bottega. E sempre tiene banco il delitto di lesa maestà di Manfredi, che pare non intenda partecipare in queste settimane al tradizionale bacio della pantofola presso giornali e corporazioni, cioè a quel circuito volante di dibattiti tra candidati – senza contenuti né ascolto – che gli stanchi poteri cittadini mettono in moto ad ogni tornata elettorale.
Ieri, dal vivo, ho misurato idee, serenità e disponibilità di un candidato che potrebbe traghettare la città verso un futuro accettabile, non fatto di marginalità e folklore, ma di sobrietà e progettazione. Sarebbe anche bello – non so se accadrà – che Manfredi vincesse al primo turno. Sarebbe così più libero da mediazioni, ipoteche e pressioni dei partiti. Che sono – paradossalmente – le principali preoccupazioni di alcuni miei amici che dicono “al primo turno voterò Bassolino, poi vado su Manfredi”. Scegliendo una testimonianza di pancia, per dispetto, per nostalgia, non facendo valutazioni politiche ragionevoli e di buonsenso. C’è da contare sulla saggezza dei più, a questo punto.
Se non temessi di apparire patetico direi che i tuoi articoli ormai rappresentano tra le pochissime gocce d’acqua nel deserto! Comunque ho passato l’articolo agli amici e parenti di Napoli.
Ringrazio, un saluto caro Giorgio