Gli opossum sono buffi animaletti, a volte anche nocivi (hanno cinquanta denti belli taglienti, per capirci), con una caratteristica bizzarra: quando si sentono minacciati entrano in uno stato che può apparire “comatoso”, sdraiati su un lato con occhi spalancati e lingua penzoloni, secernendo un odore forte e pungente, simile a quello della putrefazione. È uno stato che può durare anche qualche ora, estremo tentativo per indurre il possibile predatore ad allontanarsi.
In politica la strategia dell’opossum spesso viene utilizzata, e si manifesta in una sorta di inazione compulsiva, soporifera, stordente. Quanto più un avversario o un competitor è particolarmente aggressivo, ossessivamente presente, anticipa costantemente le tue mosse, tanto più può servire difendersi senza battere ciglio, assentandosi dalla scena, facendo finta di niente. A volte la cosa riesce, purché a un certo punto ci si ponga l’obiettivo di “resuscitare” e di attrezzare una qualche forma di controffensiva. Altrimenti il politico opossum rischia di fare una brutta fine, di finire nel dimenticatoio, di essere marchiato dallo stigma del perdente (e non c’è cosa peggiore…).
In queste ore si riparla di strategia dell’opossum, sia in riferimento ai silenzi di Elli Schlein nei confronti dell’attivismo mediatico di Giuseppe Conte, che parlando delle assenze di Giorgia Meloni in occasione di alcuni appuntamenti pubblici di fine anno. Aspetterei un attimo prima di trarre conclusioni affrettate. Dall’inizio della sua segreteria, la Schlein è solita gestire i tempi delle sue uscite in maniera non convenzionale: solo il tempo dirà se la sua strategia comunicativa si mostrerà efficace. Mentre, nel caso della Meloni, mi sembra una banalità maliziosa e un po’ volgare mettere in discussione la sua effettiva indisposizione (auguri di una rapida guarigione!).