“Venga in aula…”

Quante migliaia di volte è stata pronunciata questa frase. Con enfasi, voce impostata e toni gravi, a favore di telecamere. Lo hanno fatto, lo fanno, e purtroppo lo faranno sempre le opposizioni, quando fiutano la possibilità di ricavare un po’ di visibilità a buon mercato o – come avviene più spesso nella repubblica giudiziaria chiamata Italia – quando si può mettere alla gogna qualcuno, con contorno di schiamazzi e urla all’indirizzo del (sempre presunto) colpevole di qualche malefatta. Ormai da tre decenni il Parlamento è diventato il terzo atto del processo mediatico. Il là alla gran caciara lo danno gli inquirenti passando le carte, seguono i media che sguazzano nella melma delle mezze notizie, delle indiscrezioni, delle carte sottratte, infine i politici urlano “venga in aula a riferire!”, facendo finta di non capire che stanno dando una mano a tagliare il ramo su cui sono seduti. Perché oggi è Salvini l’oggetto degli strali (e davvero non si capisce per quale astrale motivo debba riferire su non si sa che), come ieri è capitato a politici di altre confessioni, e domani magari ricapiterà a loro. Il gioco della politica sottomessa alla logica del processo mediatico è sempre lo stesso. Ma è un gioco a somma zero per tutti.