Preparatevi: sarà giornata di discorsoni sulla ferocia della rete, di grandi pentimenti, di prediche ad alto tasso etico (e vedrete domani i giornali, con i loro sermoni a tanto al chilo…). Ma solo perché una delle mille storie di moralismi e cattiverie, vacui protagonismi e piccoli sciacallaggi che popolano ogni giorno la rete, e che si sarebbe inesorabilmente dispersa nel suo immondezzaio, questa volta ha prodotto una vittima concreta, in carne ed ossa, la povera Giovanna Pedretti.
Io non voglio neppure per un momento provare a ricostruire la vicenda, con tutte le sue umane miserie. È una cosa che letteralmente mi ripugna. Dico solo che rabbrividisco all’idea che la ricerca della “verità” (posto che esista una “verità” assoluta, e che a donarla gentilmente all’umanità debba essere il signor Lorenzo Biagiarelli) possa essere scambiata con una vita umana. E tutto perché? Per un briciolo di visibilità in più? Ma vi pare possibile?
Ora, a me ripugna il moralismo, e non accuso nessuno. Siamo tutti (tutti) legni storti, tutti (tutti) diciamo bugie, rimuoviamo ricordi, viviamo di piccoli escamotages, ci sentiamo tronfi se qualcuno ci riconosce per strada o ci mette il famoso like in più, e ci disperiamo se il grande blob della rete si dimentica di noi. Tutti, tutti: nessuno si chiami fuori. Però forse dovremmo insieme tracciare una linea di confine e, per un solo momento, chiedersi “ma ne vale la pena?”, se poi alla fine una persona deve morire per un font galeotto, per una “a” che non rassomiglia ad un’altra, per uno screenshot fatto male.