Oggi il Corriere della Sera, principale quotidiano del paese, dedica ben 6 pezzi a quelli che in gergo giornalistico si definiscono “ritratti”: si va da Ilaria Salis a Vladimir Kara-Murza, da Tatjana Zdanoka a Yoko Kamikawa, da Rishi Sunak a Nino La Rocca (quest’ultimo parte della serie “Che fine ha fatto”). Senza contare le interviste, più o meno “istituzionali”, a vari protagonisti di fatti di cronaca, di politica o di sport. È una linea – mi pare – che il Corriere persegue da tempo.
I “ritratti” non fanno altro che prendere spunto da quello che avviene nel mondo per approfondire i profili delle persone che ne sono al centro, e sono fondamentali per captare l’attenzione di chi legge. Tutti noi siamo interessati a sapere non tanto o non solo che cosa è accaduto in una determinata circostanza, ma chi ne è stato protagonista, interprete, o anche vittima. Parlare delle persone serve ad avvicinare i fatti a noi, alla nostra esperienza, alle nostre preoccupazioni, speranze, invidie, condivisioni… insomma a tutta quella gamma di reazioni “calde” che non si attiverebbero se le cronache si limitassero alla “fredda” descrizione dei fatti.
Considerata la crisi strutturale della stampa quotidiana, dare uno spazio crescente ai ritratti delle persone (come ai commenti, alle schede, ai box, etc…) è la sola possibilità di contrastare la pervasività delle notizie da cui siamo assaliti. Un giornale che si limita alla cronaca di fatti accaduti il giorno prima – sparati in rete o in Tv, metabolizzati e digeriti da chiunque nelle 24 ore precedenti – è un oggetto inutile. Un quotidiano capace di approfondimenti – tanto più se riguardanti le persone – può salvarsi. Ovviamente a condizione che questi spazi diano qualcosa in più al lettore, siano sufficientemente qualificati e originali (se possibile non faziosi, ma questo è un altro discorso, anche se riguarda purtroppo la maggior parte dei quotidiani, che vendono ai propri lettori una dose di droga quotidiana, utile solo a confermare bias cognitivi e tifoserie da stadio).