Se ancora possiamo permetterci di giocare con leggerezza sul tema che per una settimana ha oscurato guerre, trattori e politichetta, parlo degli esiti di Sanremo partendo da una definizione sociologica che gente più seria di me (da Asor Rosa quasi 50 anni fa a Luca Ricolfi più recentemente) ha utilizzato per raccontare quello che si agita sotto la pelle del paese. In sintesi: in Italia convivono, non sempre tranquillamente, due società (o anche tre o di più, la sociologia ama sbizzarrirsi in classificazioni). Una è quella dei garantiti, degli appartenenti al “sistema”, (qualunque cosa voglia dire), all’ordine costituito. L’altra è composta dai non garantiti, da quelli che sono (o si sentono) fuori dal sistema (qualunque cosa voglia dire), dagli esclusi. Passatemi per buona questa approssimazione, immaginate che abbia un senso applicata a Sanremo, e veniamo a noi.
Ieri sera il verdetto del Festival è stato il seguente: il televoto ha premiato con il 60% Geolier contro il 16,1% di Angelina Mango; le radio hanno dato il 31,2% a Angelina e il 14,1% a Geolier; la giuria della sala stampa ha assegnato a Angelina il 73,5% e l’1,5% a Geolier. Il mix dei voti ha consegnato una vittoria netta a Angelina (40,3% contro il 25,2%).
Ora dimentichiamo tutto il grottesco contorno mediatico della gara tra i due, in particolare il dibbbbattito che si è aperto sul rapper di Secondigliano, il sospetto che per lui si sia mobilitata la camorra o tutto il peggio di Napoli, i fischi del pubblico di Sanremo e le reazioni infuriate di tutti gli alfieri della napoletanità (qualunque cosa voglia dire): politici tutti e sinistra in prima linea, cosiddetti intellettuali e neoborbonici uniti nella lotta e nello sdegno. E lasciamo anche stare, naturalmente, il giudizio musicale (qualunque cosa voglia dire) sui due brani: finiremmo per andare lontano e perderci.
Restiamo ai fatti, almeno a quelli che personalmente ho constatato in questi giorni. Non ho parentele o frequentazioni camorristiche, ma non c’era uno solo tra i teenager (si dice ancora così?) intervistati che non facesse un tifo sfegatato per Geolier: i miei nipotini (11 e 10 anni), i figli di un’amica e collega che lavora in Basilicata (terra di Angelina), i ragazzi che vedevo uscire dal liceo Umberto già pronti dalla mattina al televoto serale e così via. Insomma il plebiscito popolare (e giovanile!!) si fiutava nell’aria, perfettamente fotografato da quel 60% di cui sopra. Viceversa l’impalcata giuria della sala stampa, fatta di critici con la puzza sotto al naso che affrontano Sanremo come fosse il premio Tenco, ha decretato la vittoria della brava Angelina con il più che plebiscitario 73,5%, punendo Geolier con un infamante 1,5%. E ditemi voi se tutto questo non dà l’idea di un totale scollamento tra due visioni opposte della musica, del Festival e di quello che rappresenta, se non vogliamo parlare di due società.
La domanda che ne discende ha una sua semplicità: ha ancora senso a Sanremo questo mix tra le giurie (una “di qualità”, l’altra “popolare”)? Si pensa di arrivare in questo modo a risultati più equilibrati e rappresentativi? Sempre ricordando che stiamo parlando comunque di minchiate (che nessuno prenda sul serio le cose che sto dicendo…) e che alla fine conteranno per tutti i dischi venduti, i passaggi nelle radio, i followers e i concerti, non sarebbe più giusto far decidere agli uni o agli altri? E, più in generale, pensiamo che sia ragionevole evidenziare, finanche in ambito musicale, l’abissale distanza tra coloro che stanno dentro il sistema (qualunque cosa voglia dire), a partire dalla stampa, e quelli che ne stanno o se ne sentono tagliati fuori (qualunque cosa voglia dire)?
E ora possiamo tornare ad occuparci d’altro, buona domenica a tutti.