Rimmel

Chi, come me, si avvia verso i 70 anni, conserva tra i ricordi di una gioventù ideologica e politicizzata l’apparizione improvvisa di una canzone che ebbe un enorme successo, parte di un album tutto bello. L’album si chiamava “Rimmel” e conteneva un paccata di brani (Pablo, Buonanotte fiorellino, Piccola mela, Le storie di ieri) che stonavano clamorosamente con lo spirito arrabbiato del tempo, e venivano divorati in serate interminabili di fumo e palpeggiamenti con malcelati ma evidenti sensi di colpa. Avevano armonie e ritmi prevalentemente da ballad e soprattutto testi da decifrare: criptici, ambigui, sfuggenti. Noi andavamo in cerca di manifesti da urlare nei cortei e questo De Gregori (che era pure bello, maledetto lui, e la ragazza che cercavo disperatamente di conquistare ne era innamorata pazza) ci consegnava questi pezzi che negavano – almeno in superficie – ogni dimensione collettiva, palingenetica, rivoluzionaria. E noi dovevamo attaccarci a quel “Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo” per cooptare a fatica De Gregori nel nostro pantheon. Poi c’era la canzone che dava il nome all’album. Abbastanza cantabile e a dir poco criptica nel testo, stroncato violentemente da Giaime Pintor, uno dei guru della critica musicale dell’epoca, come kitsch, non meritevevole di essere definito neppure che so decadente o ermetico. Bene, a 49 anni di distanza, De Gregori con un fenomenale pianista a nome Checco Zalone (sì, lui), ha ripreso “Rimmel” e i due insieme ne hanno inciso una versione rarefatta e lieve, l’hanno fatta diventare – dice un guru vero, Pasquale Scialò – un lied di Schubert. Una roba davvero commovente. Da ascoltare senza nostalgia, please.