30 anni fa fui spedito dal mio datore di lavoro in Basilicata. Come una banca o una fabbrica d’auto, anche la mia grande, seria, organizzata e rispettabile azienda mandava i suoi dirigenti bravi – o presunti tali – a farsi le ossa in periferia, in vista di successive ascese (che non ci furono, nel mio caso; ma questo è un altro discorso).
Appena arrivato a Potenza, dove vissi per 4 anni accumulando bellissime esperienze professionali e umane, un dirigente locale, Rocco Curcio, mi portò a cena per fornirmi prime informazioni e indicazioni sul da farsi. “Da dove partiamo? Facciamo così. Partiamo dalla strada che hai fatto per venire qui: partiamo dalla Basentana. Per capirci: fosse dipeso da noi, la regione oggi non ce l’avrebbe questo unico, possibile collegamento stradale tra la Basilicata e il resto del mondo, e anche tra la Basilicata e se stessa, tra le due province, tra Potenza e Matera, tra la val Basento e il Metapontino. Noi ci siamo opposti ferocemente a questa strada. Per anni abbiamo sostenuto – con grandi battaglie, manifestazioni di piazza, etc… – che, invece di buttare i soldi in una grande opera “faraonica”, bisognava costruire i collegamenti interpoderali, gli invasi irrigui… Così tu, per arrivare qui in auto, avresti impiegato 4 ore invece di un’ora e mezza…”. Chiesi molte delucidazioni sulla faccenda. La Basentana aveva portato lavoro? Sì, durante la sua realizzazione. Poi i cantieri erano finiti, e si era tornati alla situazione precedente: disoccupazione a palla, sviluppo zero. Di agricoltura cominciava ad essercene un po’ di qualità, ma le terre incolte aumentavano perché nessuno voleva lavorarle: i trattori circolavano sulla Basentana, piuttosto che sulle interpoderali. E la crescita civile, culturale? Certo che c’era stata: infatti i giovani lucani ora andavano più facilmente a studiare a Roma. Ad un certo punto della chiacchierata riferii a Curcio che cosa mi aveva detto qualche settimana prima, ridendo sornione, un dirigente nazionale che adoravo, Gerardo Chiaromonte: “Ah ah, Velardi in Basilicata… fai una cosa mo’ che ci vai, tu che arrivi dal caos napoletano. Conta quante auto vedi passare sulla Basentana…”. Effettivamente ne avevo viste pochissime, dissi a Curcio. “Già, ma senza la Basentana tu qua come ci arrivavi? E, senza la Basentana, comunque i giovani ce li tenevamo qui, a fare lo struscio tra i pezzi di terra e il bagno negli invasi irrigui. Vela’, lascia stare. Noi dovremmo intonare un peana per Colombo e per la Dc che ce l’ha data, la Basentana: ci ha portato nella contemporaneità, contro la nostra volontà”.
Quello di Curcio, allora, mi sembrò un discorso giusto ma monco, parziale. Non fare la Basentana avrebbe significato, senza ombra di dubbio, lasciare la regione in una impensabile condizione di isolamento, che le mitologiche strade interpoderali non avrebbero certo sconfitto. Ma l’indubbio passo avanti della strada a scorrimento veloce non aveva portato lo sviluppo tanto auspicato, né aveva arrestato il tendenziale spopolamento della Basilicata. E dunque, come realizzare insieme i due obiettivi? Veniva – e viene -prima l’uovo dell’infrastruttura o la gallina dello sviluppo?
Domande oziose, che la sinistra si pone inutilmente da decenni. Nel frattempo molta acqua è passata sotto i ponti (ops), io torno spesso in Basilicata sempre grazie alla Basentana (come, altrimenti?): ancora poco frequentata, mezza scassata, insomma una strada abbastanza di merda. Penso a cosa sarebbe la piccola regione senza questa – modesta, antiquata, ma comunque indispensabile – via di collegamento. E da stamattina – chissà perché – mi viene da pensare che le grandi opere pubbliche e infrastrutturali non devono essere solo o per forza funzionali, impellenti, urgenti. Non si devono fare purchessia, ma non possono sottostare ai “ma anche”, ai “ci vorrebbe ben altro”. Spesso hanno motivazioni molto profonde, tanto più se se ne parla per decenni: riflettono aspirazioni, suggestioni, sogni. Diventano dei simboli. A volte, paradossalmente, possono dare il meglio proprio quando appaiono inutili, superflue, fuori scala. Perché finiscono per darci loro stesse delle indicazioni, essendo sempre e comunque ponti (ops) che gettiamo sul domani. Più grandi e ambiziose sono, più dicono che siamo vivi e abbiamo futuro da spendere. Se vi rinunciamo, se arretriamo impauriti al solo pensarci, se ne ragioniamo con il bilancino del piccolo cabotaggio e della polemica spicciola, diciamo a noi stessi e al mondo che siamo semplicemente e tecnicamente morti, amici miei.
Un improvviso ricordo
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La questione cade come si suol dire “a fagiolo” –
Gli ultimi post, gli ultimi articoli, le ultime prese di posizione del Governo stanno lì a dimostrare quanto sia indispensabile una seria riflessione sul potenziamento delle nostre infrastrutture.
Le ricadute, l’indotto e la possibilità di rendere possibile la “comunicazione fisica” tra le diverse aree del Paese vanno riconsiderate e rilanciate.
Occorre un ragionamento che vada al di là degli steccati ideologici che spesso impediscono di affrontare problematiche serie quanto improrogabili per lo sviluppo del Paese. L’uscita del Premier sulla possibilità di riconsiderare in modo fattibile il famigerato “Ponte sullo Stretto di Messina” è un deciso e coraggioso passo in avanti in direzione di un cambiamento e di uno sviluppo possibile contro un vetero e paralizzante ecologismo conservatore “de sinistra”.
Incrementare le nostre infrastrutture e la possibilità di costruire ponti è largamente auspicabile e preferibile contro chi invece pensa di ricostruire muri!
That’s the fact!
Motivazioni assolutamente irrazionali: il ponte va fatto adesso semplicemente perché è uno dei pochi modi di aumentare il PIL e creare lavoro
a costo zero. Poi forse è anche utile: ma non è la ragione principale.
Mi piace, lo condivido; breve,conciso ma rende bene l’idea. Curcio forse dimenticò di raccontarti le battaglie feroci di noi liceali ed universitari contro l’istituzione di una Università in Basilicata, sostenendo che prima c’erano le pluriclassi da superare. Ed io come tanti contestatori dell’ateneo, da buon Fattazzi emigrai 5 anni al nord.
questa è fantastica, mi mancava..
Se ci mettiamo a discutere se va fatto o no, non ci troveremo mai d’accordo.
Provo ad aggiungere i miei due cent (lo dicevano negli USA, adesso con l’euro possiamo dirlo anche noi 😉
A ME MI (rafforzativo volutamente voluto!) fanno incazzare alcune cose, ad esempio:
1) Perchè quando governava Berlusconi, e propose di fare il ponte sullo stretto, gli demmo tutti addosso dicendo che, come la Potemkyn, ‘era una cagata pazzesca’?
A già, allora eravamo all’opposizione! Ora, invece, siamo al governo!
E cosa rappresenta tutto questo: Che la politica non è una cosa seria, perchè non riesce a distingure il bene dal male, il buono dal cattivo.
Il buono è quello che va bene a me adesso. Il male, è quello che fa danno al mio avversario adesso.
Domani invertiamo i ruoli, e magicamente il male diventa bene, ed il cattivo diventa buono.
Ed a me, che vengo da lontano (dal PCI per capirci), queste cose riescono solo a farmi incazzare ed a farmi perdere la fiducia nella classe dirigente di questo paese, quale che sia.
2) Nel 2016, quando si parla di infrastrutture, l’unica cosa cui si pensa davvero sono le strade e il cemento: sembra ‘il ragazzo della via Gluck’, solo che sono passati, invano direi, oltre 50 anni.
Si parla di ponte, di autostrade, di ferrovie (poco), di olimpiadi, di case: insomma, di desertificazione e cemento.
Ma nel 2016 le infrastrutture sono ben altre: non il ponte sullo stretto, che intanto dall’altra parte c’è il deserto (in termini di strade, autostrade crollate, ferrovie a binario unico, etc.)
Ma lo sviluppo della banda larga, che non abbiamo: non quella da 100Mb ma quella da 1Gb almeno, in fibra in tutte le case.
Mentre, con l’aggravamento della crisi alle porte, si taglieranno i 13 Mld per Industria 4.0 ma si seguiteranno a fare case, strade, ponti che non servono a nulla.
Le infrastrutture tradizionali lasciano il tempo che trovano: creano lavoro al momento, ma quando sono finite vengono anche dimenticate.
Ditemi se c’è qualcuno che abbia mai messa a budget la manutenzione ordinaria di una strada: non si fa, costruiamo la strada e poi la lasciamo cadere, crollare, distruggere dalle buche, come l’autostrada Messina Palermo che è tuttora chiusa.
Ma perchè, non lo sapete che se non cambieranno radicalmente le modalità di gestione degli appalti, il Ponte sullo Stretto sarà un grande regalo alla mafia tradizionale ed alla mafia dei costruttori (insomma, come quella che ha governato Roma fino all’avvento di Marino, mrtcvstr! (chi non vuol capire ne faccia a meno.)
Quale lavoro verrà creato: lavoro a termine, come quello del job act, come quello dell’Expo di Milano, dove dei laureati venivano chiamati a lavorare dal Piemonte per 700€ al mese e si sarebbero anche dovuti pagare vitto ed alloggio. Perchè la società di lavoro interinale ci faceva la cresta. Mi piacerebbe aver letto che tutto il CDA e la dirigenza di quella società fosse stato messo al bando riguardo agli appalti per la PA.
Ma figuratevi, saranno pronti ad inc…. qualche altro giovane speranzoso, guadagnandoci qualcosa.
Queste sono le motivazioni per le quali sono assolutamente contrario non al ponte sullo stretto, ma a qualunque tipo di realizzazione fisica in un mondo che è sempre più virtuale.
Mi piace invece, l’idea di un progetto per ricostruire fisicamente il paese, mettendolo tutto in sicurezza, e prevedendone la manutenzione nel tempo.
Questo creerebbe davvero milioni di posti di lavoro, distribuiti sul territorio, ed anche una speranza di lavoro futuro per la manutenzione.
Per il resto, facciamo un gran lavoro sul virtuale e riprendiamoci la cultura e la storia di un paese non più fatiscente, ed il turismo (se la smettiamo di tentare, in ogni occasione, di fregare la gente) sarà il nostro business di domani, insieme all’agricoltura biologica, alle filiere di eccellenza e così via.
La Basentana è utlissima per raggiungere la costa Jonica e il Salento, specie ora che nel “tacco d’Italia” si è incrementato il turismo. Occorre guardare con gli occhi del domani così come il famoso ponte prima si fa prima si risolvono i problemi stradali locali
Le infrastrutture sono i mezzi, gli strumenti, e non gli obbiettivi. Sono obbiettivi nel momento in cui si decide di iniziare. Quali sono gli obbiettivi che pensiamo utili, o necessari, o inevitabili, o in funzione di una motivazione dell’economia e dei rapporti commerciali.
Un primo elemento di valutazione è il tempo degli spostamenti delle persone. Quando torneremo ai tempi del cavallo con la sella, o dell’asino col basto, il tempo sarà cosa secondaria. A parte chi viaggia per turismo o per svago, quanti sono quelli che viaggiano per lavoro, per sopralluoghi, per convegni? Un relatore, un docente universitario, prende l’aereo a Roma nella prima mattinata, scende a Lamezia e c’è chi lo porta in auto a Catanzaro. Raggiungere potenza è, in questi casi, un dramma. L’impresa di Velardi credo che spendesse moltissimo per lo spostamento dei suoi esperti, e questi perdevano ore di sonno e di riposo.
Quella strada può essere “cattedrale nel deserto”, mancando le infrastrutture minori. Possibile? Dopo sessant’anni di interventi straordinari, di notevoli finanziamenti in agricoltura, mancano le cose più elementari! Qualcosa non quadra! Vorrei sapere che correlazione ci sia tra i fattori della produzione e i decisori degli investimenti.
Non so se la Basilicata abbia un programma, un’idea del suo territorio, dell’uso possibile e, in questo caso, delle diramazioni stradali. Non so se i Consorzi di Bonifica si preoccupino, come in Calabria, di ripulire le cunette stradali, le ville comunali, i burroni inerbati accanto ai fondi dei raccomandati, le villette degli amici più intimi.
Non so quali siano i problemi dei finanziamenti, che c’è un guaio di mezzo. Le piccole opere sono impossibili, specie le strade e stradelle di montagna: il lavoro progettuale è sproporzionato rispetto alle parcelle. Per via dei rapporti instaurati tra certi settori delle professioni e la “politica”, ossia gli amministratori che dispongono, sono utili le “grandi” opere, ma non tanto grandi la cui competenza spetterebbe a studi professionali eccezionalmente attrezzati.
Consorzio di Bonifica ed Enti forestali, in stretta collaborazione con i Comuni, nel giro di quattro cinque anni realizzerebbero, metterebbero in sesto, modificherebbero, le diverse strade sparse sul territorio, nel mezzo dei campi e delle montagne. Meglio di un progetto di mezzo quintale di carta. Salvo che le categorie finora in auge non promuovano un sommovimento di ribellione.
Il Ponte sullo Stretto e la poco praticata Basentana sono una premessa eccezionale per il resto delle cose. La Basilicata cosa può esportare, cosa può offrire ai mercati di metropoli come Napoli e Roma? Cosa può scendere a valle dalle montagne? Cosa sarà in caso di crisi generale, quali saranno le risorse per le popolazioni insediate?