Siamo concentrati – tutti noi banali followers di rete e giornali, tweet e dichiarazioni, retroscena e spifferi – sul dito del governo. E non vediamo la luna che si staglia sullo sfondo, qualunque cosa accada: si faccia il governo carioca o quello del Presidente, si vada a votare tra cinque anni, l’anno prossimo o tra tre mesi.
Eppure il tema ha una sua semplicità, bisogna essere inguaribili tifosi dello stupidissimo #senzadime per non vederlo. Salvini e Di Maio stanno gettando le basi del bipolarismo prossimo venturo. Un bipolarismo bizzarro, tutto italico: edificato su un sistema proporzionale, alimentato da una convergenza “programmatica” temporanea e del tutto strumentale (vi dice niente il fatto che, nel caso il governo si faccia, i due prenderanno possesso dei ministeri tagliati sulle loro rispettive constituencies?), amplificato ossessivamente dal mainstream mediatico. E non per un disegno oscuro ma per semplice mancanza di alternative.
Ecco il punto che andrebbe affrontato rapidamente, se gli sconfitti del 4 marzo avessero i coglioni: la necessaria e urgente costruzione di un’alternativa. Problema pressante, più vicino di quanto si immagini, comunque vadano le cose.
Poniamo, per esempio, che fallisca il governo carioca e si vada a votare presto. E’ immaginabile che la coalizione di centrodestra vada alle elezioni unita, come se non fosse accaduto niente in questi mesi? E che Forza Italia accetti di buon grado di essere spappolata da Salvini? Dall’altra parte, si può pensare che il Pd vada al voto con l’esangue Martina o ripescando il valoroso Gentiloni? E magari in alleanza con la sinistra dei Bersani e dei D’Alema?
Oppure poniamo che effettivamente nasca il governo a maggioranza Lega-Cinquestelle, per durare non si sa quanto. Cosa faranno le opposizioni? Voteranno insieme contro in Parlamento e marceranno divise in prospettiva? E che senso avrebbe? Sarebbe, come è evidente, una lenta e inesorabile marcia verso il patibolo di due formazioni politiche che non hanno – e lo sanno bene le loro smarrite classi dirigenti – nessun futuro.
E dunque che cosa resta? Resta la necessità urgente della nascita di una terza forza. Non (solo) perché ci piacerebbe, ma per dare un assetto decente alla politica italiana. Una forza alternativa a Lega e M5S, saldamente collocata al centro del sistema, in grado di prendere in mano le bandiere dello sviluppo e della crescita. Una forza moderata, riformista, europea. Di questo bisognerebbe parlare, altro che del cv di Conte.
Mi direte: perché non si fa? Perché i proprietari dei due marchi bolliti lavorano sul giorno per giorno, solo per evitare danni: uno – comprensibilmente – ha una certa età e vuole ormai prendersi solo qualche sfizio; l’altro non ha più coraggio, ha forse gettato definitivamente alle ortiche le sue ambizioni.
PS. E visto che già me lo si chiede in rete, ribadisco che questa prospettiva sarebbe stata anche meglio perseguibile se il Pd (intendo Renzi, ovviamente) fosse andato a vedere le carte dei Cinquestelle nelle scorse settimane. Non ci vuole molto a capirlo (ma non avviamo un inutile dibattito su questo, chi vuole si tenga pure il #senzadime)