Con un gruppo di qualificati amici stiamo approfondendo da settimane il tema dello smart working (quello vero, non il lavoro da remoto sperimentato in questi mesi): presto ne faremo oggetto di iniziative pubbliche. Per ora, procedendo nella discussione, stiamo immaginando le enormi conseguenze che la sua diffusione potrà avere, sull’organizzazione sociale, sulla nostra cultura e sulle nostre vite. Al punto che viene da chiedersi se ci sarà davvero, questa diffusione, o se non prevarrà, nel sistema, il timore dei cambiamenti radicali che può produrre.
Io penso che sarà impossibile tornare indietro. La scoperta che una gran quantità di cose di lavoro si può fare da casa e non in ufficio, con adeguate tecnologie (che nel frattempo tutti abbiamo imparato rapidamente ad usare) e ovvie regolamentazioni, è troppo ghiotta per farsela sfuggire. Ma la rivoluzione del lavoro agile potrà produrre vantaggi per tutti, solo se si realizzeranno almeno tre condizioni.
La prima è che, quando andremo a regolamentarlo – perché sarà necessario farlo – si eviti di entrare nel ginepraio delle norme all’italiana, dei cavilli e dei formalismi. Stabiliti degli standard generali rigorosi e certi, bisognerà lasciare alle aziende, alle rappresentanze sindacali e ai singoli la gestione autonoma e libera delle varie forme possibili di smart working.
La seconda è che la rivoluzione deve essere convergente, deve riguardare l’alto e il basso. Dirigenti, AD e manager devono favorirla – poche chiacchiere – cedendo poteri. Investendo sulla fiducia, smettendo di controllare, andando ai risultati, apprendendo e praticando la cultura del feedback. Dipendenti e lavoratori devono farla loro, non per lavorare meno (cosa che progressivamente accadrà) ma per lavorare meglio, con più soddisfazioni e gratificazioni personali.
La terza, necessaria condizione è che tutti investano tutto in formazione. Se lo smart working è prima di tutto una rivoluzione culturale, bisogna prendersi tempo e investire ingenti risorse per creare, alimentare e solidificare una nuova cultura dei lavori, fatta di inediti linguaggi, codici, procedure, metodologie, relazioni, pratiche. E l’intero sistema (istituzioni, agenzie formative, aziende, sindacati) deve darsi questa priorità.
Ne ho dette tre, di condizioni, ma potrei aggiungerne tante. Le altre le vedremo in corso d’opera, accorgendoci, via facendo, quale sia la portata di una rivoluzione che diventerà, molto più rapidamente di quanto pensiamo, il new normal delle nostre esistenze. Attrezziamoci da subito. Da domani, direi, visto che stiamo per ripartire.