Oggi sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella fa una disanima disarmante di alcune delle mille fake news che ci piombano addosso dai teatri di guerra. Persone afflitte, mutilate, sfollate; scene urbane di devastazioni con case sventrate; immagini di bambini, soprattutto di bambini, esposte con inarrivabile cinismo, con l’unico obiettivo di muovere all’orrore nei confronti del reale o presunto responsabile delle atrocità e alla solidarietà nei confronti del reale o presunto aggredito. Esattamente per questi motivi sono, molto spesso, false. E riflettono solo gli interessi di coloro che i conflitti li combattono, e usano la propaganda come la più micidiale delle armi. È sempre stato così, oggi lo è mille volte di più, per motivi che è superfluo ribadire.
Come difendersi dal diluvio di fake di guerra? Una soluzione non c’è, naturalmente, ma forse può servire l’adozione di comportamenti individuali appropriati. Nel mio piccolo non leggo mai le cronache di seconda mano (salvo quelle di giornalisti credibili e coraggiosi che sono lì, sui teatri), le ricostruzioni, i retroscena, meno che mai mi perdo nelle insensate bolgie dei talk show. Se lo facessi, diventerei inevitabilmente tifoso, finirei per essere parte in causa, non aiuterei la pace. Cerco invece di andare alle origini dei conflitti. È un esercizio utile: mille volte meglio un buon libro che ne indaghi le ragioni profonde. Se guardi una guerra da troppo vicino, rischi di farti solo del male. Se allontani lo sguardo, puoi capirne qualcosa di più. Altro non si può fare.