In genere, prima di andare a dormire, mia moglie ed io ci comunichiamo le nostre agende del giorno dopo. Ieri sera Mikla mi ha detto che stamattina, sabato 25 novembre, avrebbe partecipato alla manifestazione contro la violenza sulle donne. Io, sempre refrattario a scendere in piazza, le ho detto che avrebbe fatto piacere anche a me esserci. Troppo importante il tema per restare a guardare.
Anche se non mi convincono alcuni accenti del dibattito pubblico che si è acceso, dopo il femminicidio di Giulia.
Trovo, per esempio, surreale la discussione sul patriarcato. Che la nostra società sia ab origine una società patriarcale è indiscutibile. Lo attestano millenni di storia, l’antropologia culturale, la sociologia, la psicologia sociale. Chi nega questo dato è ignorante o in malafede.
Allo stesso modo è innegabile che la rivoluzione femminile ha scardinato principi di fondo della vecchia società patriarcale: è finanche superfluo elencare le conquiste sociali e culturali realizzate dalle donne nell’ultimo secolo (e grazie alle loro lotte, non per gentile concessione degli uomini).
Naturalmente il cammino verso un totale, completo superamento della società patriarcale è tutt’altro che compiuto. Per dirla in maniera schematica, ad una parità di diritti molto diffusa (parlo delle democrazie occidentali) non corrisponde una effettiva parità di genere nelle posizioni di potere, nelle possibilità di accesso alle carriere. Così come non c’è parità nella vita quotidiana delle famiglie, dove il lavoro di cura resta sempre a carico delle donne. E, soprattutto, c’è molto lavoro da fare per realizzare una effettiva parità nei comportamenti, nella cultura diffusa.
Viviamo in sostanza, dal punto di vista dell’equilibrio di genere (come in altri ambiti), una vera e propria – gigantesca – fase di transizione, che ci sta portando verso una società che non definiremo più “patriarcale”. E sarà molto bello quando potremo dirlo. Ma oggi non possiamo ancora. Perché c’è tanta strada da fare.
Ecco, per questo semplicissimo motivo ieri sera avevo detto a mia moglie che, superando le mie ritrosie, avrei partecipato alla giornata di mobilitazione.
Poi stamattina ho letto la piattaforma che ha indetto le manifestazioni, dove si dice che “lo stato italiano deve smetterla di essere complice di genocidi in tutto il mondo, perché schierandosi in aperto supporto dello stato coloniale di Israele, appoggia di fatto il genocidio in corso del popolo Palestinese”. Dimenticando il 7 ottobre, gli stupri di Hamas, i filmati agghiaccianti, le violenze bestiali contro le donne perpetrate dai terroristi.
E allora ho pensato che non posso essere complice di questo stravolgimento della realtà: alla manifestazione non andrò. E ho stramaledetto la faziosità, la partigianeria, il pregiudizio, l’ideologia. Terribili malattie dell’animo che mi impediscono di essere partecipe di una mobilitazione cui avrei aderito con tutto il cuore. Se, anche su un tema che dovrebbe unire, non fosse prevalsa la logica orribile della divisione per bande politiche. Povera Giulia.