Non so se ancora oggi, nelle scuole guida, ti costringono a imparare a che cosa serve lo spinterogeno e dove sono le candele (non so neppure se spinterogeno e candele ancora esistono nelle auto). All’epoca mia per prendere la patente bisognava apprendere queste grottesche nozioni. Così, all’arrivo dei computer, tutti compulsavamo voluminosi manuali dell’MS-DOS senza capirci niente; come, probabilmente, i nostri progenitori si chiedevano per quali misteriose ragioni l’ebollizione dell’acqua potesse far muovere un treno; e magari, un po’ di tempo prima, gruppi di sapiens, la sera davanti al fuoco, si interrogavano su come potesse girare su sé stesso un oggetto chiamato ruota, avendo rinunciato a capire come si produce una fiamma, giusto mentre l’utilizzavano per prendere calore.
Di fronte a nuove scoperte o invenzioni, l’essere umano “medio” (posto che esista) sente il bisogno di incamerarle e superare la paura che generano, partendo dal “come funziona”. Ma è una strada che non porta da nessuna parte. Perché i nostri cervelli singoli sono sempre un passo indietro rispetto all’avanzare delle tecnologie, frutto della collaborazione tra tanti, tantissimi umani, ognuno dei quali mette un piccolo tassello al miracolo quotidiano dell’evoluzione, dando vita a innovazioni di cui poi tutti godiamo. E dunque non è compito del singolo capire “come funziona” una cosa nuova. Le tecnologie dobbiamo solo usarle. È questa l’infinita meraviglia del mondo, che nessun pessimista rompicoglioni potrà mai distruggere.
Il diavoletto depresso che è in noi non ci riuscirà neppure con l’Intelligenza Artificiale, argomento preferito di tutti gli umani-palla-al-piede che dobbiamo sopportare con le loro insulse geremiadi (dove andremo a finire? una volta sì che si era felici, e via con tutto il campionario di bestialità che sentiamo pronunciare in tutti i bar del globo). E neppure istituzioni terrorizzate e paralizzate dal nuovo (in primis la mitologica Unione Europea) saranno in grado di opporsi alla rivoluzione.
Questa semplicissima cosa più o meno ce l’avevo chiara, ma l’ho percepita meglio ieri, partecipando ad un evento sull’Intelligenza Artificiale e la sua concreta applicazione nella Pubblica Amministrazione, aperto dalle preziose slides di Lorenzo Pregliasco, che ha descritto le (comprensibili) paure degli italiani di fronte alla Grande Trasformazione in atto e la diffusa ignoranza sul tema, e dai concretissimi interventi (qui il racconto dettagliato dell’evento) che hanno mostrato come l’uso dell’IA, non il filosofeggiarle intorno, ci cambierà la vita in meglio. Senza ombra di dubbio.
E dunque, non bisogna avere paura di quanto sta accadendo? Ma figuriamoci: la paura è umana, umanissima, ognuno di noi convive ogni giorno con mille preoccupazioni e angosce. L’importante, direi, è maturare la consapevolezza delle proprie paure, non esorcizzarle, non negarle, non creare mostri. L’IA non è né buona né cattiva, è una tecnologia che stiamo imparando a usare, e lo faremo sempre meglio. Tra un po’ – siate certi – rideremo dei nostri attuali tormenti, magari ricordando di quando temevamo la bocciatura all’esame di teoria a scuola guida.