Con un po’ di presunzione – scusatemi – vorrei esporre una legge che dovrebbero stamparsi bene in mente tutti, osservatori e commentatori, politologi e comunicatori, malati di web e analisti in pantofole. E, naturalmente, prima di tutto, la legge dovrebbero farla propria i protagonisti di queste storie, cioè i politici.
La comunicazione può aiutare a vincere, ma si perde quando manca la politica: ecco la formula, in sintesi. Che cosa vuol dire? Che tutti i fenomeni politici moderni nascono, si sviluppano e acquistano consenso perché fanno leva su esigenze che arrivano dal basso, sentimenti diffusi di protesta, insoddisfazione, voglia di cambiamento. E lavorano, comprensibilmente, per alimentarli, tenerli vivi e diffonderli. Ci mettono sempre pesanti iniezioni di quella che viene descritta come una “buona comunicazione” – con annessi guru, macchine da guerra, bestie etc… – anche se è roba superflua: non ci vuole niente a comunicare bene qualcosa che ha già il vento in poppa. Poi arriva il successo, si vincono le elezioni e si va a governare. E lì tutti (tutti) i nostri eroi si cimentano con le difficoltà vere: devono gestire il consenso, mantenere le promesse, passare dalle parole ai fatti. Le cose si fanno difficili. E a quel punto scatta una immancabile reazione, finanche umana ma da veri coglioni: non sono io che sto sbagliando politica, è la comunicazione che non va bene.
Pensate alla parabola dei signori che sono in copertina, grosso modo i leader italiani di maggiore successo nell’ultimo trentennio. Berlusconi, per definizione uomo-comunicazione, si sostiene nella vulgata che sia stato sconfitto dai giudici, dai giornali o dalle olgettine: in realtà la sua caduta, nei primi anni ’10, è dovuta alla sfiducia dell’Europa politica e finanziaria nei suoi confronti. Renzi, il Grande Rottamatore, si dice che abbia perso per antipatia o per il suo carattere, ma ha semplicemente sbagliato strategia politica quando è andato al referendum del 2016. Salvini ha avuto il suo momento di gloria con una propaganda a buon mercato in quanto uomo del Nord, e poi ha fallito perché il disegno politico di fare della Lega un soggetto nazionale si è dimostrato politicamente puerile e ingenuo. Conte, reduce dalla grandissima popolarità casaliniana conquistata con la gestione del Covid, è stato mandato a casa da una manovra politica che non è stato capace di arginare. Con Meloni non sappiamo come andrà a finire: anche lei e i suoi sono tentati di incolpare una cattiva comunicazione quando le cose non vanno, tuttavia per ora la premier riesce a garantire una gestione accorta dei passaggi politici. Vedremo cosa accadrà in futuro.
In queste ore, intanto, Vincenzo De Luca, forse colui che più di chiunque altro ha incarnato l’inscindibile rapporto contemporaneo tra comunicazione e politica, è sotto tiro perché, nel corso di una manifestazione di sindaci convocata a Roma, non è riuscito ad essere ricevuto da qualche governante, e alla fine è sbottato contro la Meloni con una mala parola. Così stamattina tutti, sulla stampa nostrana, notoriamente piena di raffinati analisti politici, si sono precipitati a discettare sulla caduta di comunicazione e di stile. Nessuno, dico nessuno, che abbia detto una cosa semplice, che peraltro appariva plasticamente dalle immagini della manifestazione, con i portoni chiusi che si paravano davanti ai manifestanti: oggi De Luca vive un momento di seria difficoltà politica perché ha pensato di forzare in chiave comunicativa (corteo a Roma, lui da capopopolo a fronteggiare le forze dell’ordine, etc…) l’isolamento che sta vivendo. Non ha alleanze significative. Non trova varchi nel governo. Il suo (?!?) partito gli è contro. Non riesce a immaginare sbocchi per la sua battaglia. Perché tu puoi avere tutte le ragioni del mondo a protestare chiedendo più risorse per la Campania etc…, ma poi sei un uomo di governo e devi trovare soluzioni, non puoi tornartene a casa con le pive nel sacco e continuare ad alzare il tiro, convocare – che so – un’altra manifestazione, in una escalation senza prospettive. Devi trovare un punto di caduta politica, urlare sempre di più diventa esercizio controproducente. Riuscirà a capirlo De Luca? Forse sì, ha gli strumenti per farlo, perché è un politico navigato, viene da una vecchia scuola che insegnava a fare sì propaganda, ma metteva sempre la politica al primo posto.
Intanto chi non ci capisce proprio niente sono quelli che assistono e commentano lo spettacolo, non comprendendone il succo. E quindi concludo – scusatemi ancora – con un pizzico di presunzione in più: parlare di comunicazione è la cosa più facile del mondo (pensate che io ci campo addirittura, con la comunicazione), capire di politica è cosa assai più difficile.