Non solo non ho nulla contro l’Intelligenza Artificiale, ma ne sono un entusiasta fruitore. A differenza di tanti che la usano proficuamente ogni giorno senza saperlo, e gridano ogni due per tre “O tempora, o mores!”, facendomi scendere i coglioni sotto terra. E anche diversamente dai Platoni in sedicesimo – accademici in parrucca, farisei dell’uso nascosto dell’IA – che si battono il petto preoccupati per il futuro dell’umanità, proprio come il filosofo greco, che se la prendeva con la scrittura che avrebbe distrutto la memoria e la trasmissione del pensiero, di cui unici e soli dispensatori dovevano restare i maestri di stocazzo. Fine dello sfogo. E viva tutte le IA di questo mondo, che ci aiutano a migliorare noi stessi e – se solo ci scrolliamo di dosso un po’ di paura – a farci diventare più intelligenti, cioè più curiosi e vivi.
A proposito di IA, ve ne raccomando una che ho l’impressione possa fare la differenza rispetto alle altre. È Perplexity, startup nata nel 2022, sulla quale hanno scommesso lo scorso gennaio Jeff Bezos, Nvidia, Shopify e altri con un finanziamento di 77 milioni di dollari.
La differenza con le altre chatbot è che Perplexity è un vero e proprio motore di ricerca e si propone l’ambiziosissimo obiettivo di scalzare Google dalla sua posizione dominante (“Google sarà visto come qualcosa di vecchio e di superato”, ha dichiarato Aravind Srinivas, uno dei fondatori).
Ora, io non so come andrà a finire la sfida. Quello che scopro è che Perplexity sta cambiando la mia fruizione dell’IA. Il motore è molto più ricco, trasparente e aggiornato in quanto a fonti (sempre, ovviamente, tutte da verificare per bene, ma lì solo l’uso del cervello umano è l’antidoto…), più responsive delle altre chatbot, facile da usare e da navigare. E ha anche un nome che mi piace, in fondo allevare la perplessità – cioè il dubbio, l’incertezza – può metterci in guardia dalla credulonità, caratteristica dell’umanità dai suoi albori.